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Il caso Meriam. Meriam, il marito: grazie per il sostegno

Paolo M. Alfieri mercoledì 28 maggio 2014
«Vorrei ringraziarvi per la mobilitazione che avete messo in piedi a favore di mia moglie. Il sostegno dei vostri lettori, così come di tutti coloro che si sono attivati per Meriam, per me è fondamentale. E nella situazione in cui siamo, tutto ciò potrebbe avere risvolti positivi a livello di pressioni politiche. Speriamo che questa campagna non sia vana».  Così risponde ad Avvenire Daniel Wani, il marito di Meriam Ibrahim, costretto su una sedia a rotelle a causa della distrofia muscolare e diventato padre ieri per la seconda volta. Non è sereno, Daniel, e spesso, quando gli si rivolgono domande che vanno troppo a fondo nella vicenda legale di sua moglie, preferisce opporre un gentile «no comment».Come si sente dopo la nascita di Maya?Sono diviso tra la gioia e la frustrazione. Ovvio sono contento, mia moglie e mia figlia stanno bene, dopo tanta ansia. Ma dall’altra parte sono molto deluso: non mi hanno permesso di vederle. Forse lo faranno domani, forse no. L’unica cosa positiva è che mi hanno detto che le mie visite in carcere passeranno da una a due volte a settimana. Ma oggi avrei voluto essere accanto a mia moglie.La nuova arrivata le dà speranza anche per la vicenda giudiziaria?Certo, un bambino è sempre una benedizione, una speranza. E nel nostro caso significa anche molto di più. Vorrei solo avere più tempo per stare con la mia famiglia. Ogni volta che vado a trovarli non mi danno molto tempo per parlare con Meriam e Martin, il mio primogenito. E poi c’è sempre qualcuno che ci controlla. Per le autorità sudanesi, che ritengono nullo il nostro matrimonio, io e mia moglie, ma anche io e i miei figli, siamo degli estranei.Nei giorni scorsi si è detto che Meriam non è trattata bene in prigione… Cammina in catene, e vederla così per me è straziante. Ha avuto anche complicazioni durante la gravidanza, ma non ne conosciamo l’entità perché non è stata visitata da un medico. Ma Meriam è forte, più forte di me. Quando l’hanno condannata io ho cominciato a piangere, mentre lei è rimasta ferma, senza nemmeno trasalire. Anche per questo non rinuncerà mai alla sua fede, come le aveva chiesto invece il giudice. E io non le chiederò mai di farlo pur di vederla libera.Suo figlio Martin come vive quanto sta accadendo?Capisce quanto sta succedendo, anche se ha meno di due anni. Ma ha il carattere di sua madre. Ci sono altri bambini come lui in prigione, e le condizioni lì dentro non sono buone: il carcere non è un buon posto per un bambino. Mi è stato consentito di portare a lui e a Meriam medicine e cibo, ma i rischi igienici lì sono enormi, per non parlare di quelli psicologici.Come trascorre le giornate in attesa di novità sul processo?Ho alcuni amici, sia cristiani che musulmani, e anche questi ultimi pensano che la condanna nei confronti di Meriam sia ingiusta. Cerco di far passare il tempo, ma per me senza di lei è terribile, terribile. Per questo il fatto di sapere che tanta gente ci è vicina, che c’è chi si preoccupa per noi, è molto, molto importante. E per chi volesse venire qui a Khartum la mia porta è aperta.