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Meriam, incubo finito: finalmente libera

Paolo M. Alfieri martedì 24 giugno 2014
Finalmente libera. Cinque settimane dopo la sentenza che la condannava a morte, Meriam Ibrahim è tornata ieri tra le braccia di suo marito Daniel, lasciando la prigione femminile di Omdurman, vicino Khartum. E se sono stati i giudici della Corte d’appello a decretare l’annullamento della condanna per apostasia e adulterio, è del tutto evidente che un enorme peso sulla decisione lo ha avuto la grande mobilitazione internazionale a favore della 27enne cristiana, mobilitazione lanciata in Italia da Avvenire e dall’associazione Italians for Darfur. «È stata una decisione politica – sottolinea ad Avvenire Khalid Omer Yousif, dell’Ong Sudan change now – La pressione era ormai diventata insostenibile per il regime sudanese, per questo è stato deciso il rilascio. D’altronde in Sudan il governo controlla tutto, dai tribunali ai media». La notizia dell’annullamento della condanna (Meriam rischiava anche cento frustate) è stata riferita dall’agenzia di stampa governativa Suna e poi rilanciata in tutto il mondo. Meriam, sposata con un cristiano, era stata arrestata nei mesi scorsi dopo la denuncia di un fratellastro, secondo cui la donna aveva lasciato l’islam per diventare cristiana. In realtà Meriam, abbandonata dal padre musulmano quando aveva 6 anni, era stata cresciuta come cristiana dalla madre etiope. Il giudice l’aveva condannata secondo la sharia, dopo che la donna aveva ribadito in tribunale che non intendeva abiurare il cristianesimo. In prigione Meriam ha dato alla luce, il 27 maggio, una bambina, Maya. Le condizioni della detenzione si erano rivelate da subito molto difficili. Prima del parto, infatti, Meriam era stata incatenata per le caviglie e le era stata negata una visita medica. Nei giorni scorsi la Commissione nazionale per i diritti umani sudanese era intervenuta per denunciare che la condanna a morte di Meriam era incostituzionale in quanto non in linea con la libertà di culto garantita dalla Costituzione del 2005. Dopo l’annuncio della Corte d’appello, Meriam è stata subito rilasciata e, come hanno comunicato i suoi legali, portata in un «domicilio sconosciuto per motivi di sicurezza». «La sua famiglia ha ricevuto molte minacce e siamo preoccupati che qualcuno possa provare a farle del male», ha sottolineato l’avvocato Mohaned Elnour, secondo il quale oggi i giudici comunicheranno le motivazioni della scarcerazione. «Siamo ovviamente molto felici sull’esito di questa vicenda», ha aggiunto un altro dei legali, Elshareef Ali Mohamed. «Sono felice» è anche l’unico commento che siamo riusciti a raccogliere dal marito di Meriam, Daniel, prima che il suo telefono diventasse irraggiungibile.Non è escluso che Meriam decida insieme al marito di lasciare definitivamente il Sudan. Daniel è cittadino statunitense e i due potrebbero quindi trasferirsi nel New Hampshire, dove vive anche il fratello dell’uomo, Gabriel. Secondo quanto era emerso nelle scorse settimane, alla base della denuncia del fratellastro nei confronti di Meriam c’era soprattutto la volontà di impadronirsi di un’attività commerciale che la 27enne gestisce in un centro commerciale a Khartum. Prima della denuncia, mai il fratellastro aveva avuto contatti con Meriam, che era stata poi arrestata e messa in prigione senza alcun preavviso.Per le autorità sudanesi era anche nullo il matrimonio tra Meriam e Daniel: la sharia infatti non ammette le nozze tra un musulmano (come la donna è ritenuta, in quanto figlia di un islamico) e un cristiano. Per questo motivo a Daniel era stato negato l’affidamento del figlio primogenito di 21 mesi Martin, che ha quindi trascorso insieme alla madre in carcere l’intero periodo della prigionia. In un’intervista pubblicata il 28 maggio, Daniel aveva ringraziato Avvenire per la mobilitazione lanciata a favore della moglie. «Il sostegno dei vostri lettori, così come di tutti coloro che si sono attivati per Meriam, per me è fondamentale – aveva detto l’uomo –. E nella situazione in cui siamo, tutto ciò potrebbe avere risvolti positivi a livello di pressioni politiche. Speriamo che questa campagna non sia vana». Ieri, finalmente, la felice conclusione della vicenda ha dimostrato che questa campagna non è stata vana per davvero.