Mondo

Asia Bibi. Dall'India all'Arabia Saudita, la mappa della blasfemia nel mondo

Simona Verrazzo venerdì 2 novembre 2018

Manifestazione contro la blasfemia a Giacarta, in Indonesia

Africa, Asia, ma anche Europa. La blasfemia, cioè parole o atti offensivi nei confronti di ciò che viene considerato divino, è un reato in molte regioni del mondo. Negli ultimi anni le notizie di cronaca legate alle accuse di blasfemia sono per lo più ricollegate a Paesi a maggioranza islamica, sebbene ci siano casi anche in India. Il più noto, di recente, è quello dell’attrice Priya Varrier, accusata di blasfemia per un “occhiolino” in un film.
Le proteste degli integralisti erano arrivate fino alla Corte Suprema di New Delhi, che però ha deciso di archiviarlo. In Europa, una settimana fa, in Irlanda si è svolto il referendum per l’abolizione della legge sulla blasfemia, con i “sì” che si sono affermati con il 65 per cento. Restano comunque i Paesi di religione islamica quelli in cui le accuse di blasfemia destano maggiori proteste tra le associazioni in difesa dei diritti umani.
Un anno fa, in Mauritania, è stato liberato il giovane blogger Cheick Ould Mohammed Mkhaitir, incarcerato nel 2014 per un articolo considerato appunto blasfemo e anche lui condannato a morte. Dall’Africa subsahariana al sud-est asiatico. In Indonesia, il Paese musulmano più popolato del mondo, la scorsa settimana è stata confermata dai giudici di appello la pena a 18 mesi di carcere a una donna buddista di origini cinesi (si conosce soltanto il nome, Meiliana) che aveva protestato per il richiamo alla preghiera troppo rumoroso della moschea vicino casa sua sull’isola di Sumatra.
All’Arabia Saudita spetta uno più alti tassi di condanne a morte del mondo, con la blasfemia spesso tra i capi di accusa. A settembre a un ingegnere indiano impegnato in una compagnia petrolifera (anche di lui si conosce soltanto il nome, Vishnudev) sono stati inflitti cinque anni di reclusione perché accusato di blasfemia.
Persino la Turchia, in passato presa a esempio come il Paese musulmano “più europeo” e per la «laicità» delle sue istituzioni, ha le sue condanne per blasfemia. Tra i casi più recenti quello del celebre pianista Fazil Say, per cui nel 2013 erano stati chiesti dieci anni di carcere. Fazil Say è stato liberato dopo quattro di battaglia legale.