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CRISTIANI NEL MIRINO. «Mai tanto odio, ma il Paese è con noi»

Luca Geronico sabato 17 agosto 2013
Mai, in precedenza, un assalto di massa di queste proporzioni: mentre si attendevano ancora con ansia i contraccolpi del Venerdì della collera, i cristiani-copti facevano il bilancio della furia scatenata contro di loro dai Fratelli Musulmani nelle 48 ore precedenti. Dopo che l’esercito ha sgombrato a forza e nel sangue i sit-in al Cairo, in tutto il Paese è scattata la ritorsione: colpiti i commissariati della polizia, i tribunali e in particolare luoghi di culto e simboli cristiani.
Almeno 40 le chiese razziate o date alle fiamme: 10 le cattoliche, 30 quelle ortodosse o protestanti, riferiscono i vescovi egiziani. «Lo avevano detto: pagherete un caro prezzo. Ma mai prima una aggressione di massa, evidentemente preparata da tempo», dichiara ad Avvenire Kyrillos William Samaan, vescovo cattolico di Assiut, nell’Egitto centrale lungo la riva sinistra del Nilo. Ritorsione politica e odio religioso. «La nostra cattedrale è stata risparmiata, perché è vicina al palazzo del governatorato ben presidiato», ma non così la chiesa di Santa Teresa, costruita un secolo fa dai francescani italiani. «L’hanno profanata, divelto il tabernacolo. Poi hanno incendiato le mura e le abitazioni dei padri, come le auto che erano nel cortile», racconta il vescovo. Nessuna vittima fra i religiosi, per fortuna assenti perché impegnati in un pellegrinaggio. Ma la furia anti-cristiana ha colpito altre 2 chiese ortodosse, 4 luoghi di culto protestanti, la sede della “Bible society”.
Colpiti dalla furia cieca pure dei negozi e un albergo gestiti dai copti; aggrediti, per fortuna senza conseguenze, alcuni sacerdoti diocesani in viaggio fra i villaggi. Ad Abnub, con altri luoghi di culto, è stata assaltata pure la cattedrale ortodossa di San Giovanni, un convento di suore è stato danneggiato a Qussia. «Hanno sfogato su di noi la loro rabbia, ma a protestare contro Morsi non eravamo i soli: c’erano 35 milioni di egiziani», commenta monsignor William. Una rivolta popolare contro i Fratelli musulmani che «in un anno di governo non hanno fatto gli interessi dell’Egitto. Il Paese si è sentito tradito», afferma mentre dalla vicina piazza del governatorato sente urlare gli slogan della fratellanza. «Non siamo stati sorpresi, la violenza è nella loro ideologia. Per questo l’esercito è intervenuto: per proteggere la volontà del resto del popolo egiziano».
A centinaia di chilometri dai palazzi del Cairo, la percezione dei copti è quella di stare vivendo una nuova rivolta – dopo quella di piazza Tahrir che depose il faraone Mubarak – contro il “complotto islamista”. La prova è nella condanna della «persecuzione contro i copti» pure da parte di Ahmed al-Tayyeb, il grande imam di al-Azhar: un sermone andato in diretta televisiva per invitare alla riconciliazione nazionale. Ancora più netta la posizione di Tamarod, il movimento degli anti-Morsi, che ieri ha invitato i propri sostenitori a creare dei «comitati popolari». Così in molti villaggi «musulmani moderati e copti si sono messi davanti alle chiese e ai palazzi del governo. È questo il vero Egitto», conclude il vescovo di Assiut. Comitati popolari che non hanno evitato ieri un assalto a una chiesa a Minya e un altro a Mallawi. Episodi che fanno muovere il dito di Barnaba el-Soryany, vescovo copto ortodosso di Roma, contro l’Occidente: «Gli europei appoggiano unicamente una parte senza condannare le violenze perpetrate dalla Fratellanza».
A Ismailia, dove inizia la penisola del Sinai, ieri si sono registrate due vittime negli scontri davanti al tribunale, ma più che di un “Venerdì della collera” il vescovo Makarios Taufik preferisce parlare di una «seconda rivoluzione» per la «democrazia», la «libertà» e per i «diritti di cittadinanza dei copti». La ritorsione degli islamisti non ha fatto gravi danni a Ismailia, ma a Suez sono state bruciate due chiese, un convento di suore francescane oltre alla loro scuola e a quella dei frati. «Ci aspettavamo la reazione violenta dei Fratelli musulmani, ma questa è una reazione popolare contro il loro progetto di creare un califfato, e di fare del Sinai un emirato staccandolo dall’Egitto». Per questo l’esercito è intervenuto: nel Sinai, dove gli estremisti sono più organizzati, i comitati popolari non si sono visti: «Ma la maggioranza della popolazione, anche i musulmani, è con l’esercito», afferma Makarios.
Un “Venerdì della collera” passato in casa o asserragliati nei palazzi vescovili, ma che per i copti ha quasi il sapore di una liberazione: «La reazione popolare sta funzionando, ci sono musulmani e cristiani schierati a difendere le chiese», dichiara ad Avvenire padre Khaled Bischay. La violenza cieca ha mostrato il vero volto dei Fratelli musulmani, facendo perdere molti consensi anche a chi un anno fa li aveva votati. «Non è vero che l’Egitto è spaccato in due. La Fratellanza raccoglie al massimo il 20% del Paese. Non si può parlare di una guerra civile». Il vero Egitto, per i copti, è quello schierato, con o senza divisa, davanti alle chiese e ai tribunali.
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