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Londra. Sposarsi «da italiani» nella parrocchia della City e riscoprire la fede

Silvia Guzzetti, Londra giovedì 30 gennaio 2020

La basilica di Saint Peter a Londra

Quasi cento coppie che si preparano ogni tre mesi al matrimonio. Un nutrito gruppo di trentenni, ansiosi di accostarsi al sacramento che li unirà per una vita ha ringiovanito la parrocchia di Saint Peter a Londra, voluta, nel lontano 1845, da san Vincenzo Pallotti, per la cura delle anime dei nostri migranti nel Regno Unito. Italiani che hanno nostalgia delle loro radici religiose e riscoprono Dio. Oppure inglesi, spesso anglicani non praticanti, innamoratissimi di quel fidanzato o fidanzata che vogliono seguire nella strada di una preparazione di fede al matrimonio.

Nella bellissima basilica nel cuore della City (nelle foto), modellata su quella di san Crisogono a Roma, dall’architetto Francesco Gualandi, il matrimonio è sempre stato un momento chiave della vita della parrocchia. Per anni, nel dopoguerra, la cerimonia veniva celebrata alla domenica per consentire agli italiani di lavorare sei giorni alla settimana. Oggi i nostri connazionali si sono trasferiti in altri quartieri e sono diventati professionisti di successo, impiegati di banche, docenti nelle università, medici e infermieri negli ospedali. Italiani che – detto fra parentesi – guardano con preoccupazione alla prossima Brexit…

Sposarsi a Saint Peter per sentirsi italiani. “Saint Peter rimane un punto di riferimento importante, un modo per ricollegarsi alla vita del nostro Paese”, spiega al Sir il parroco, don Andrea Fulco. “La gran parte delle coppie che seguo sono composte da due italiani mentre una trentina sono miste, ovvero il futuro marito o moglie sono inglesi. L’unione duratura di un uomo e una donna, sancita dal sacramento, è ‘di moda’ tra i nostri connazionali. Anche se, quasi sempre, segue a un periodo di convivenza. Gli affitti di Londra sono molto alti ed è conveniente, per una coppia, dividere le spese. Quando, poi, i due partner si sono conquistati uno stipendio fisso cominciano a pensare seriamente al matrimonio”.

Nel suo corso don Andrea usa l’esempio dell’abusivismo edilizio, che necessita di un condono, per spiegare ai futuri sposi come “la Chiesa non considera la convivenza una forma di vita cristiana, ma apprezza la decisione di sanare questa situazione con un cammino spirituale che porti al matrimonio”.

La Chiesa attira chi vive all’estero. Secondo il parroco “vivere all’estero in molti casi alimenta il bisogno di pratica religiosa dei nostri connazionali e il desiderio di essere accolti in una comunità ospitale aperta a tutti”.

Nei dieci incontri in preparazione alle nozze, due volte alla settimana, dalle 20 alle 21, il lunedì in lingua inglese e il martedì in lingua italiana, padre Andrea risale al Vangelo, per trovare le radici cristiane del matrimonio, e affronta anche le dimensioni psicologiche e spirituali della vita di coppia. Qualche lezione viene tenuta anche dall’avvocato italiano Carmelo Danisi, del tribunale ecclesiastico, che spiega le ragioni che rendono nullo il matrimonio e le conseguenze giuridiche che il nuovo status comporta.

Testimonianze di vita vissuta. Durante il corso raccontano la loro testimonianza coppie che hanno divorziato e sono ritornate insieme. Altre che hanno avuto difficoltà. E altre ancora che sono sposate felicemente da tanti anni. “Il tasso di divorzi è molto alto, nel Regno Unito, ed è quindi importante parlare anche della possibilità di un fallimento”, dice ancora don Andrea. “Spiego alle coppie che ci vuole l’impegno umano, oltre a quello divino, ed è importante conoscersi bene, per costruire qualcosa di più duraturo, attraverso i sacramenti e la vita di preghiera. La completa accettazione dell’altro, di quella persona per come è veramente e non dell’idea che abbiamo noi dell’altro è molto importante”.

Le tre parole di Bergoglio. “Le tre parole di un buon matrimonio sono quelle suggerite da papa Francesco: ti chiedo scusa, grazie, permesso”, conclude il parroco. “Concordo con Zygmunt Bauman che ha parlato di ‘relazioni liquide’. Alle prime difficoltà c’è chi cambia partner perché cerchiamo un idealismo sentimentale che ci allontana dal Vangelo. Ci si sposa per sistemarsi o per solitudini sentimentali. Occorre, invece, passare da un amore narcisistico, autoreferenziale, a un amore oblativo della Croce dove ci si dona senza ricevere nulla”.

“Un’occasione per evangelizzare”. “Nei cinque anni durante i quali ho organizzato questi corsi ho sperimentato il digiuno spirituale che mi circonda”, conclude don Fulco. “Mi colpisce il cinismo con il quale alcuni si accostano al sacramento, pensando che sia una perdita di tempo. Invece col passare delle settimane rimangono affascinati e sono, alla fine, desiderosi di sposarsi in chiesa. Per me è un’importantissima opportunità di evangelizzazione”.

Agenzia Sir