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Chiese profanate nell'indifferenza di polizia e autorità. L'India indù è più ostile, sos dei cristiani

Stefano Vecchia venerdì 13 febbraio 2015
«Nell’ultimo ventennio, da quando il nazionalismo religioso estremista è diventato più aggressivo, c’è stato uno sfondo di violenza, di campagne d’odio e di pressioni. Tuttavia, ciò s’aggrava ogni volta e in ogni luogo in cui il Bharatiya Janata Party (Bjp), proiezione politica del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss, Organizzazione dei volontari per la nazione; formalmente la maggiore organizzazione non governativa al mondo, antica aggregazione delle istanze induiste radicali), cerca potere elettorale o riesce a formare un governo». È diretta e precisa e autorevole la sintesi della situazione dei cristiani e delle altre minoranze in India svolta da John Dayal, membro del Consiglio governativo per l’integrazione nazionale e presidente dl Forum unito dei cristiani per i diritti umani. Lo stato di assedio delle comunità nel Paese è espressa dalle manifestazione di intolleranza degli ultimi mesi nella capitale ma soprattutto, nell’India profonda, dalla lotta quotidiana per il diritto alla fede, al benessere e spesso all’esistenza. Tutti segni di una crescente propaganda filo-induista e del sostegno delle autorità di governo attuali a tale programma.   Recentemente, la percezione è che la pressione in varie forme contro la comunità cattolica sia andata crescendo. Corrisponde alla realtà? Quali forme prende? «La campagna elettorale del 2014 ha visto odio e violenza raggiungere una nuova dimensione – segnala Dayal –. Posso dire che Narendra Modi, attuale primo ministro, l’ha incoraggiata come parte della strategia elettorale del partito. Occorre forse ricordare che proprio Modi era primo ministro dello Stato del Gujarat al tempo del pogrom contro i musulmani del 2002. L’attuale capo del partito, Amit Shah, è stato incriminato per le sue attività anti-musulmane e successivamente prosciolto dai giudici. Tuttavia, ha rifiutato di esprimersi contro l’odio e la violenza, indicandole invece come invenzioni delle minoranze religiose e, in particolare, dei cristiani». I dati sulle persecuzioni, anche nella difficoltà della loro raccolta e nell’omertà, sono probabilmente sottostimati. Nel 2014, sono stati 147 i casi registrati di violenze anticristiane, inclusi due omicidi. A questo vanno aggiunte varie forme di coercizione, illegali ma presenti e raramente perseguite. Come la crescente segregazione delle comunità cristiane nello Stato di Chhattisgarh e la conversione sotto pressione all’induismo di cristiani e musulmani in varie parti del Paese.   L'ultima azione di tal genere, non nuova ma tornata in tempi recenti, non a caso è chiamata ghar wapasi, 'ritorno a casa', a ricordare che per i fautori del radicalismo socio-religioso tutti coloro che nascono in India sono naturalmente indù. Per i promotori di questa concezione, il buddhismo è considerato una denominazione diversa della stessa fede indù o una setta dell’induismo, le altre religioni 'incidenti della storia' da correggere. Nel Chhattisgarh, come nell’Orissa e altrove, l’assedio fondamentalista è realtà quotidiana, ma i recenti casi di profanazione di chiese a Delhi hanno portato queste problematiche nel cuore del potere politico e della società civile indiana. «Tali attacchi hanno segnalato – ricorda Dayal – che neppure la capitale nazionale è immune da certi eventi. Anche questo è un messaggio chiaro. Le cinque chiese profanate sono tutte cattoliche, ma non significa che luoghi di culto di altre denominazioni siano al sicuro. Quando abbiamo protestato contro questa situazione, lo scorso 5 febbraio, ci siamo trovati davanti alla repressione della nostra protesta pacifica». L’azione repressiva verso i cristiani – molti i preti e le suore – da parte degli agenti di Delhi è sintomatica dell’intolleranza e della volontà repressiva filtrate nel sistema. Lo stesso Dayal, con molti altri, è stato ammanettato, costretto a salire sugli autobus della polizia e rinchiuso per ore nel commissariato di Parliament Street per essere identificato.   La posizione delle autorità davanti alle rivendicazioni dei cattolici risulta ambigua. Alla delegazione che ha incontrato il ministro dell’Interno Rajnath Singh dopo gli eventi del 5 febbraio ufficialmente è stato comunicato l’impegno a chiedere alla polizia di indagare sulle profanazioni come reato di odio. Ma per i presenti il messaggio è stato di ben altro tono: la Chiesa deve proteggere da sé le proprie istituzioni. Di fatto, la polizia ha suggerito di porre filo spinato, guardie e videocamere a tutela delle strutture. Per Dayal, come per molti altri all’interno e all’esterno della cattolicità indiana, non vi sono dubbi che se la polizia indagasse seriamente sulle violenze troverebbe un collegamento con il Rss o con organizzazioni ad essa affiliate, come il Vishwa Hindu Parishad (Consiglio mondiale dell’induismo) e il Bajrang Dal. Questi gruppi sembrano ritenere, e forse non senza ragione, che da quando al centro della politica nazionale sono il loro partito e un loro uomo (il premier Modi è stato tra i capi del Rss) possono godere di immunità e impunità. In questo senso, va valutato il «silenzio assordante» del primo ministro sottolineato dalla Conferenza episcopale, ma anche dalle diplomazie straniere.  È di pochi giorni fa il voto per il Parlamento del Territorio della capitale, che ha visto una vittoria senza precedenti del Partito dell’Uomo comune e del suo programma di sviluppo basato su equità e giustizia. Un risultato salutato con entusiasmo anche dai cristiani. Ci si chiede dunque se sia possibile vedere nel voto di Delhi una reazione contro l’intolleranza e le pressioni sia sulle minoranze sia su una società laica e integrata. «Queste elezioni hanno visto una risposta spontanea contro la campagna di odio e la violenza verso le minoranze religiose. I gruppi della società civile sono usciti allo scoperto per sostenerci, protestando contro la violenze sui cristiani e la brutalità usata contro di noi. Lo trovo molto incoraggiante. Questo si riflette anche nel pesante risultato negativo per il Bharatiya Janata Party», spiega Dayal. Data la situazione, la Conferenza episcopale e i leader di varie denominazioni protestanti hanno deciso con coraggio di criticare apertamente questa polarizzazione e l’azione di protezione di elementi criminali operata dal governo. La Chiesa chiede – con il sostegno della società civile – che il governo assicuri l’applicazione delle garanzie costituzionali quanto a diritti umani e libertà religiosa e anche uguaglianza per le minoranze. «Questa è una battaglia comune – ricorda ancora Dayal –. La Chiesa non può combatterla da sola, dobbiamo lavorare con la società civile, sia in India sia globalmente. Mi rallegra che organismi Onu come pure vari governi stranieri e gruppi della società civile abbiano alzato la voce sulla questione. Il rapporto della Commissione Usa sulla libertà religiosa ha recentemente segnalato la detenzione di manifestanti cristiani, tra cui il sottoscritto, in occasione di proteste pubbliche per rivendicare sicurezza e diritti. L’attenzione internazionale, in un tempo in cui la crescente violenza nel mondo potrebbe ridurre l’attenzione verso i problemi dell’India, ci fa sentire di non essere stati dimenticati», conclude con speranza Dayal.