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Il rapporto. Biden torna a sfidare la Cina sulle persecuzioni religiose

Elena Molinari, New York venerdì 14 maggio 2021

Un corteo a Lahore in Pakistan per la liberazione di Asia Bibi nel 2017: venne liberata l’anno successivo dopo 3.421 giorni di cella

«Non c’è dubbio che il governo della Repubblica popolare cinese sia tra i peggiori nemici della libertà religiosa al mondo». Con il suo primo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, l’Amministrazione Biden continua, come quelle che l’hanno preceduta, a mettere all’indice la Cina e una decina di altri Paesi come governi efferati nella repressione sistematica del diritto di culto. Allo stesso tempo il dipartimento di Stato ha chiarito che l’Amministrazione democratica, a differenza di quella di Donald Trump, non considera la libertà religiosa il diritto umano principale. «Questo è un punto di vista da cui questa Amministrazione si discosta», ha precisato Daniel Nadel, direttore dell’Ufficio per la libertà religiosa internazionale.
Il segretario di Stato Antony Blinken ha comunque sottolineato che la possibilità di esprimere e praticare la propria fede senza costrizioni o timori tocca «l’essenza di ogni essere umano».

Per questo, ha evidenziato, le azioni di Pechino sono particolarmente gravi. Il rapporto di 2400 pagine dedica infatti la sua sezione più ampia alla Cina perché «continua a commettere crimini contro l’umanità e genocidio contro uighuri musulmani e membri di altre minoranze religiose ed etniche». E dove, si legge, «cristiani, musulmani, buddisti tibetani e praticanti del Falun Gong rischiano di essere incarcerati e uccisi, oltre a soffrire tutti di gravi discriminazioni sociali in materia di occupazione, alloggio e opportunità di affari». Blinken ha poi annunciato il divieto di ingresso negli Stati Uniti a un ex alto funzionario cinese che Washington accusa di gravi violazioni dei diritti umani, come la «detenzione arbitraria dei praticanti del Falun Gong per le loro convinzioni spirituali».
Secondo il Dipartimento di Stato, in Cina i casi di tortura, abusi fisici, arresti, detenzione e morti in custodia di credenti religiosi sarebbero cresciuti nel 2020 rispetto all’anno precedente, poiché il governo cinese sta accelerando «la sua campagna 2019-2024 di sinicizzazione per portare tutta la dottrina e la pratica religiosa in linea con la dottrina del partito comunista, richiedendo al clero di tutte le fedi di partecipare a sessioni di indottrinamento politico, monitoraggio dei servizi religiosi e preapprovazione dei sermoni e alterando i testi religiosi».
«Continueremo a prendere in considerazione tutti gli strumenti appropriati per promuovere la responsabilità per i responsabili di violazioni e abusi dei diritti umani in Cina», ha assicurato Blinken.
Ma il rapporto, giunto alla sua 23esima edizione annuale, si scaglia anche contro gli abusi della libertà religiosa in Iran, Myanmar, Russia. Nigeria e Arabia Saudita, che fanno parte di una lista di 10 «Paesi di particolare interesse» che suscitano preoccupazione per la loro soppressione delle credenze religiose. Fra questi il Pakistan, dove il rapporto segnala che almeno 199 persone sono state accusate di reati di blasfemia, un aumento significativo rispetto al 2019, e 35 di queste hanno ricevuto condanne a morte. E anche l’Afghanistan, dove i gruppi terroristici hanno continuato a prendere di mira specifici gruppi religiosi ed etnoreligiosi durante l’anno 2020, come sikh, indù, cristiani e altre minoranze non musulmane.
Nonostante le precisazioni rispetto all’Amministrazione Trump, dunque, il rapporto indica una continuità nell’impegno americano a denunciare le violazioni della libertà religiosa e, quando possibile, a intervenire in sua difesa. «La protezione della libertà religiosa è uno sforzo incredibilmente bipartisan», ha concluso infatti Blinken.