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L'OPERAZIONE MILITARE. Libia, ancora tre mesi di bombardamenti

  giovedì 2 giugno 2011
Nuovi raid aerei della Nato hanno scosso Tripoli stanotte. Forti esplosioni sono state udite nel centro della capitale libica. Intanto una commissione d'inchiesta istituita dal Consiglio dei diritti umani dell'Onu, a Ginevra, ha denunciato il regime di crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Gli aerei dell'Alleanza, che hanno intensificato i bombardamenti su Tripoli da lunedì, hanno bersagliato anche all'inizio della settimana le periferie di Tajura ed Al-Jafra. Il portavoce del governo, Mussa Ibrahim, ha però dichiarato martedì che la Nato ha causato con i suoi raid 718 vittime civili e ferito 4.067 persone dallo scorso 19 marzo. Dichiarazioni puntualmente smentite dall'Alleanza atlantica.PROLUNGATA LA MISSIONE NATOAncora tre mesi di bombardamenti sulla Libia (sempre che il regime non collassi prima). La Nato ha deciso di prorogare di altri 90 giorni la missione Unified Protector. Le operazioni militari, avviate il 25 marzo, erano state inizialmente previste per 90 giorni, come da procedura standard. Non pochi analisti avevano ipotizzato una solu­zione a breve termine, considerato che l’e­sercito di Gheddafi non era decisamente tra i più efficienti del mondo (il rais, nel timore di colpi di Stato, ha sempre privilegiato i gruppi di élite). Ma l’apparato di regime si è rivelato più reattivo e resistente del previsto. E benché la Nato abbia spiegato nei giorni scorsi che le capacità militari di Gheddafi sono ormai se­riamente compromesse, evidentemente c’è ancora molto da fare. Il segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, ha detto ieri che la decisio­ne sulla proroga (che scatterà il 27 giugno) in­via al rais un chiaro messaggio: «Siamo de­terminati a proseguire le nostre operazioni per proteggere il popolo libico». Secondo Ra­smussen, la caduta di Gheddafi è ormai «so­lo questione di tempo». Bisogna vedere quan­to. I raid su Tripoli proseguono: anche l’altra not­te si sono udite almeno sei forti esplosioni nella capitale. «I missili stanno cadendo o­vunque e purtroppo non colpiscono solo zo­ne militari, ma anche civili», è tornato a ripe­tere il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli. Secondo il ve­scovo, gli ultimi bombardamenti hanno dan­neggiato anche una chiesa copta vicina a u­na caserma militare. Il governo martedì ha denunciato che almeno 718 persone sono ri­maste uccise negli attacchi Nato. Ma ieri il se­gretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha detto di non «non avere una conferma indi­pendente » sulle vittime civili. Piuttosto, Ban Ki-Moon ha ammonito le autorità libiche dal «continuare ad attaccare e uccidere persone». Una Commissione d’inchiesta dell’Onu crea­ta dal Consiglio dei di­ritti dell’uomo ha però anche stabilito che sia il regime libico sia le forze dell’opposizione hanno commesso cri­mini di guerra in que­sti mesi di crisi. Il rap­porto verrà valutato dal Consiglio lunedì. Secondo fonti diplo­matiche francesi cita­te da Le Figaro, il bi­lancio della repressio­ne condotta dal Co­lonnello sinora sareb­be di «diverse migliaia di morti, forse più di 10mila». E dai raccon­ti di fonti indipenden­ti concordanti emerge un quadro spaventoso della situazione a Tri­poli. I testimoni parlano di un clima di terro­re, con continui arresti, retate notturne, sac­cheggi, esecuzioni sommarie, stupri, torture, sparizioni di oppositori e fosse comuni. Nel­le altre aree del Paese la situazione è sostan­zialmente in stallo: i governativi non hanno risorse a sufficienza per mettere a segno pe­santi avanzate, i ribelli resistono come pos­sono. Ma da Bengasi (la roccaforte degli insorti nell’Est) è arrivata, ieri in serata, la notizia di una forte esplosione davanti all’hotel Major, dove alloggiano giornalisti e rappresentanti diplomatici e dove il Consiglio nazionale tran­sitorio (Cnt) tiene le sue conferenze stampa. Nell’albergo si trovava l’ambasciatore italia­no in Libia Vincenzo Schioppa, che è rimasto illeso. Secondo al-Arabiya potrebbe essersi trattato di un’autobomba. Non ci sono stati fe­riti né vittime, ma l’episodio viene considerato estremamente preoccupante per il paventa­to rischio di una “irachizzazione” del conflit­to nel Paese. Continuano intanto le defezioni. Già più di 120 ufficiali hanno voltato le spalle al rais. Mol­ti si trovano a Roma, dove è arrivato ieri il mi­nistro del Petrolio libico, Shokri Ghanem, che nei giorni scordi si era dissociato dal governo e che ha annunciato di volersi unire ai ribel­li. Continuano anche le polemiche sulla pre­senza di truppe straniere a terra. Al-Jazeera lunedì ha trasmesso un video che mostrava sei occidentali armati a colloquio con alcuni ribelli a Misurata. La Nato aveva subito smen­tito. Ieri, invece, è stato il Guardian a scrivere che alcuni veterani delle forze speciali bri­tanniche Sas si trovano nella città portuale. Lavorerebbero per società di sicurezza priva­te e avrebbero l’incarico di istruire i ribelli li­bici a terra, fornendo però anche informa­zioni al comando alleato. Il ministero della Difesa britannico ha però negato di avere sol­dati dislocati sul terreno. Un allarme è stato infine lanciato dagli Stati Uniti sul flusso di armi in Libia. Il generale Carter F. Ham, capo del comando americano per l’Africa, ha detto che gli Usa nutrono «con­crete preoccupazioni» che nel Paese si inne­sti una «proliferazione» di armi dirette in al­tre zone del Nordafrica, «comprese quelle controllate da al-Qaeda». Barbara Uglietti