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Libano. A 15 anni dall'omicidio di Hariri non ci sono prove su Siria e Hezbollah

Camille Eid martedì 18 agosto 2020

I funerali del premier libanese Rafiq Hariri, ucciso in un attentato nel 2005

L’assassinio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri è stato un atto terroristico con motivazioni politiche ed era opera di una rete composta al massimo da dieci persone, tutte al corrente dell’obiettivo, ma non ci sono elementi sufficienti per accusare Hezbollah o la Siria di essere dietro l’assassinio. Questa la sintesi della sentenza – rinviata due settimane fa per il disastro del porto di Beirut – emessa dal Tribunale speciale per il Libano (Tsl), con sede all’Aja. Alla fine, 795 milioni di dollari (al 49 per cento a carico del Libano) sono stati spesi per arrivare alla condanna di un solo imputato, per giunta latitante, mentre gli altri tre sono stati giudicati non colpevoli per «insufficienza di prove». Del beneficio del dubbio o della mancanza di prove materiali hanno beneficiato Hassan Oneissi, Asad Sabra e Hussein Merhi, tutti latitanti, mentre il loro capo Salim Ayyash è risultato «colpevole di tutte le accuse» e quindi l’unico responsabile sicuro di una strage che ha provocato 22 morti e 226 feriti. I reati che gli sono stati attribuiti prevedono l’ergastolo.

Lo stesso tribunale aveva emesso, un anno fa, un mandato di cattura contro di lui: membro di Hezbollah, avrebbe servito nella protezione civile libanese. Contro di lui anche un accusa di terrorismo e omicidio premeditato per il ruolo avuto in altri tre tentati omicidi contro due ex ministri libanesi, Marwan Hamade (presente ieri in aula) ed Elias Murr, entrambi scampati all’attacco, e per l’assassinio del sindacalista ed esponente comunista George Hawi.

La lunga lettura del dispositivo della sentenza ha confermato, tuttavia, un fatto importante: che l’assassinio è strettamente legato alla crescente irritazione di Hariri (61 anni quanto è stato ucciso), riguardo la politica di Damasco in Libano. I giudici hanno citato diverse «lamentele» espresse dall’ex premier durante un burrascoso incontro con il ministro siriano Walid al-Muallem. La decisione di eliminarlo, tuttavia, sarebbe stata presa, secondo il Tsl, solo all’inizio di febbraio 2005 quando l’ex premier ha mandato alcuni suoi rappresentanti al cosiddetto «Incontro di Bristol», dal nome del prestigioso albergo di Beirut in cui si riunivano gli oppositori all’egemonia siriana sul Libano.

Il primo commento a caldo è arrivato dal figlio della vittima eccellente, presente alla lettura della sentenza. «Noi accettiamo il verdetto», ha detto l’ex premier Saad Hariri ai mass media raccolti davanti al tribunale dell’Aja, perché, e grazie al Tsl, i libanesi sono giunti a conoscere la verità per la prima volta nella storia degli assassini politici». Il verdetto, ha aggiunto Hariri jr, «invia un chiaro messaggio agli esecutori del delitto e a coloro che l’hanno pianificato: che il crimine politico ha un prezzo, e questo prezzo sarà pagato prima o poi», prima di assicurare che lo scopo dell’attentato era quello di «cambiare l’identità del Libano». Poi in un messaggio politico diretto ha aggiunto: «Noi abbiamo fatto sacrifici, ma ora tocca a Hezbollah farli dopo che è diventato evidente che la rete di colpevoli proviene dai suoi ranghi».

«Nessun libanese può dire che il verdetto non lo riguarda», ha concluso alludendo a una recente affermazione di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, in cui dice di ignorare il tribunale. Sarà ascoltato? Probabilmente, no. Con tutte le conseguenze che comporta. Rispondendo a una domanda, Hariri ha detto che «i libanesi non accettano che il loro Paese sia un’oasi per degli assassini» reclamati dalla giustizia. Un nuovo braccio di ferro è già aperto.