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Alla Cop28. Le religioni unite sul clima. «I cattolici hanno trascinato gli altri»

Lucia Capuzzi, inviata a Dubai domenica 10 dicembre 2023

Partecipanti alla Marcia interreligiosa che si è tenuta nei giorni scorsi all'esterno della Cop28 a Dubai

Non essere presente alla Conferenza Onu sul clima (Cop28) sarebbe un peccato. «È in gioco la vita degli esseri umani, presenti e futuri, a partire dai più fragili. Per questo la Chiesa c’è», afferma Eduardo Agosta, uno dei sei esponenti della delegazione della Santa Sede a Dubai. Il religioso carmelitano argentino è uno dei pionieri cattolici dei summit ambientali. Oltre che frate, padre Eduardo è climatologo e storico studioso del Consiglio nazionale della ricerca (Conicet) di Buenos Aires prima del trasferimento, sei anni fa, in Spagna. Per la sua competenza, nel 2006, l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio l’aveva voluto nel nascente gruppo su “Clima, ambiente e società” dell’Università cattolica argentina.

Ora, come consulente del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, il carmelitano è uno dei riferimenti vaticani sulla questione ecologica. Un tema cruciale di questo tempo a cui la Chiesa, con il magistero di Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, ha dedicato via via maggiore attenzione. Papa Francesco in Laudato si’ ha sancito in modo inequivocabile il nesso tra crisi sociale e crisi ambientale, sviluppando il concetto di ecologia integrale. «Da allora l’impegno della Chiesa nella cura del Creato è cresciuto e anche la sua presenza alle Cop. Con tutti i limiti, questi vertici sono l’unico modo di risolvere il conflitto ambientale tra i diversi attori geopolitici senz’armi. Ci uccidiamo di parole – perciò i passi avanti sono lenti – per non doverlo fare con le bombe», sottolinea padre Eduardo. All’Exhibition centre di Dubai ci sono una ventina di organizzazioni cattoliche che lavorano a stretto contatto con le altre fedi per la salvaguardia della casa comune. Tra loro Caritas Internationalis, Cisde e Movimento Laudato si’, di cui il frate è consigliere spirituale.

Tutti chiedono aiuti ai Paesi poveri, vittime degli impatti di una crisi a cui hanno contribuito ben poco e l’eliminazione dei combustibili fossili. «È l’unica strada. Lo dice la scienza. – afferma il frate climatologo –. Lo faremo comunque ma più aspettiamo maggiore sarà la sofferenza. I negazionisti sono come il malato grave che non crede al medico per paura di doversi sottoporre alla cura».

«Nel Sud del mondo si tocca con mano ogni giorno gli impatti dell’emergenza climatica sui più fragili. Le faccio solo un esempio. Nel mio villaggio, Inpina, nel nord-ovest del Ghana, la stagione delle piogge è scomparsa. Impossibile coltivare, non c’è più cibo e i giovani sono costretti a migrare. Nel resto dei Paesi dove ho lavorato – Kenya, Tanzania, Malawi, Burkina Faso e Congo – accade lo stesso», aggiunge Maamalifar Poreeku, missionaria delle suore di Nostra Signora dell’Africa e coordinatrice della campagna Seminando speranza per il pianeta dell’Unione delle superiori generali (Uisg) che rappresenta oltre 600mila religiose e, per la prima volta, è presente alla Cop. «Siamo a Dubai per portare al centro delle trattative la voce delle comunità colpite, troppo spesso dimenticate, seppure sono le prime a dover sopportare il peso delle decisioni prese dai Grandi della terra». Laudato si’ è stato uno spartiacque non solo per i cattolici e i cristiani. Ne è convinto Lyad Abumoghli, direttore di Faith for earth del Programma Onu per l’ambiente (Unep), che riunisce 15 differenti credo e 86 organizzazioni religiose. Quando, nel 2017, abbiamo creato la Coalizione per coinvolgere gli attori religiosi nell’impegno per lo sviluppo sostenibile, in primis attraverso l’attivismo e la riforma della propria finanza, e promuovere la collaborazione fra fede e scienza, l’Enciclica è stata un riferimento. E ha ispirato anche le altre fedi sia in termini di impegno - lo vediamo anche dalla loro crescente partecipazione alle Cop – sia di riflessione. L’islam sta lavorando a un documento soprannominato la “Laudato si’ islamica”», racconta Abumoghli in un raro momento di quiete al Padiglione della fede, una novità per le Cop, che ospita oltre 70 eventi e 350 relatori. Ad “Almizan”, in arabo “la bilancia”, lavorano 13 teologi di differenti confessioni musulmane e sarà presentato a marzo all’Assemblea dell’Unep sull’ambiente.

Un contributo importante viene dall’università di al-Azhar, pilastro principale dell’islam sunnita. Il grande imam Ahmad al-Tayyeb ha inviato un video-messaggio per l’inaugurazione del Padiglione che ha aperto con un saluto a Francesco, assente all’ultimo per ragioni di salute.

La posizione dell’islam sull’ambiente – ha detto al-Tayyeb – si fonda «sul comando divino rivolto a ogni essere umano, credente o non credente, di custodire la terra e il divieto di causarle danno». «Il Corano sancisce il principio della moderazione, del bilanciamento di tutte le cose. Da qui viene il nome “Almizan” per il documento in programma sulla cura della creazione. Le risorse vanno utilizzate in modo responsabile. Senza depredare», sottolinea il direttore di Faith on earth. Il testo affronterà anche il tema dei combustibili fossili, principali responsabili della crisi climatica. Un nodo particolarmente spinoso dato che le economie di Paesi musulmani dipendono dal petrolio. «Anche in questo caso, la questione viene vista nella prospettiva dell’equilibrio – dichiara Abumoghli –. La transizione va avviata ma si devono trovare alternative». «La fede musulmana implica una responsabilità morale chiara nei confronti dell’ambiente e dei suoi abitanti – aggiunge Mohamed Bahr, del Muslim council of elders, un’altra delle principali organizzazioni islamiche impegnate nella stesura di Almizan –. In questo, c’è piena sintonia con le altre religioni con le quali dobbiamo collaborare sempre più. Questo padiglione è un piccolo esempio di un impegno concreto e comune. Dobbiamo unire le nostre voci per proteggere il pianeta ferito».