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Oppiacei. L'overdose da «medicine» che fa strage negli Usa

Elena Molinari, New York domenica 28 luglio 2019

Da quasi trent’anni gli Stati Uniti affrontano una crisi crescente e senza precedenti, a lungo rimasta misteriosa nelle cause e nelle possibili soluzioni. In tre ondate separate, a partire dalla fine degli anni Novanta, gli americani hanno cominciato a morire a decine di migliaia ogni anno a causa di overdose da oppiacei e oppioidi: i primi derivati dalla pianta, i secondi sintetizzati in laboratorio. All’inizio la colpa era di pastiglie regolarmente prescritte dai medici, che spesso passavano di mano. Queste sono state rimpiazzate dal «parente prossimo » più facile da ottenere, l’eroina, e infine dalla sua versione sintetica, il fentanyl. In tutto si stima che negli ultimi vent’anni l’abuso di prodotti derivati, naturalmente o artificialmente, dall’oppio ha ucciso il numero esorbitante di circa 400mila persone.

Il fenomeno ha annientato intere comunità, soprattutto rurali, in Stati dell’est come la West Virginia, il Kentucky o l’Ohio, o in ampie parti della California. Nel 2017, l’apice della più grande crisi da tossicodipendenza della storia americana, ogni giorno 130 persone morivano di overdose da oppiacei. Più di 11 milioni di americani ne abusavano.

Solo oggi, dopo innumerevoli testimonianze in Congresso, piani d’azione comunitari e dichiarazioni di «guerra agli oppiacei» lanciate da almeno tre Amministrazioni Usa, si è venuti a capo della cause dell’eccidio. Ed è emerso che il governo americano, o almeno una delle sue agenzie, ne era a conoscenza da anni e ha tentato, invano, di contrastarle. Un database della Drug enforcement agency (Dea), il braccio dell’Amministrazione che lotta contro la droga, ha rivelato che solo fra il 2006 e il 2012 le 10 principali società Usa di produzione e distribuzione di farmaci hanno riversato nelle città americane 76 miliardi di pillole di ossicodone e idrocodone, che fino agli anni Novanta erano riservate esclusivamente alle cure palliative per i malati di cancro. Un’inondazione che ha raggiunto, in alcuni Stati, la media di 100 pastiglie per persona all’anno, contando anche i bambini, e che ha toccato estremi assurdi: in un paesino del West Virginia di 1.400 abitanti, in quattro anni sono state distribuite 5 milioni di pillole. Mentre la mortalità cresceva in proporzione alla presenza dei potenti antidolorifici, il volume delle vendite si dilatava, aumentando di circa il 51% in pochi mesi, di pari passo con i profitti delle società.

Quelle 10 compagnie sono ora state citate in giudizio da quasi 2mila città, paesi e contee che le accusano di un complotto ai loro danni. «Big Pharma» si è difesa, incolpando medici, farmacie e clienti e affermando di aver semplicemente soddisfatto le esigenze di pazienti alla disperata ricerca di un sollievo dal dolore. Ma molti documenti emersi grazie al processo imminente mostrano che le aziende erano consapevoli, in seguito a studi interni, della forte dipendenza provocata dai medicinali. E che alcuni loro dirigenti consideravano la loro diffusione un’opportunità d’oro. «Continua a spedirne – scriveva il vicepresidente di un distributore, la KeySource Medical, al dirigente di un produttore, la Mallinckrodt –. Le pastiglie volano dagli scaffali. È come se la gente ne fosse dipendente. Ah, aspetta, in effetti la gente ne è dipendente! ». E la risposta: «Come patatine: continuano a mangiarne. Ne faremo di più». Tre aziende hanno prodotto l’88% degli oppiacei: Mallinckrodt, Actavis Pharma e Par Pharmaceutical. Purdue Pharma è la quarta, e viene considerata responsabile di aver avviato la produzione di massa.

Una legge americana, il Controlled substances act, impone alle compagnie farmaceutiche di identificare «ordini sospetti», definiti come «ordini di dimensioni insolite, che si discostano sostanzialmente dal normale e hanno frequenza insolita». Devono quindi informarne la Dea e astenersi dallo spedirli, a meno che non siano in grado di dimostrare che i farmaci non sono dirottate sul mercato nero. Negli ultimi dieci anni il governo Usa ha provato alcune trasgressioni a questa norma e imposto alle società multe per oltre 1 miliardo di dollari. Ma si tratta di casi isolati che non hanno portato alla luce le dimensioni del comportamento alla base del consumo di quei farmaci. Le multe prevedevano infatti accordi di confidenzialità che tenevano nascoste molte informazioni.

Ora, per la prima volta, le società si trovano accusate di aver provocato dei decessi. Questa settimana si è svolta a Cleveland un’audizione preliminare del caso, che ha rivelato le strategie legali di accusa e difesa. Le amministrazioni locali vogliono dimostrare che Big Pharma ha messo in piedi un «racket di larga scala ai danni dei pazienti» e ottenere miliardi di dollari per coprire i costi della riabilitazione contro le tossicodipendenze e degli interventi delle forze dell’ordine.

Usando la banca dati della Dea, vogliono provare che ogni azienda sapeva quante pillole spediva, città per città, e che ha permesso alla droga di raggiungere le comunità, nonostante i persistenti appelli da parte delle autorità locali a rallentare una distribuzione chiaramente superiore ai bisogni. I produttori e distributori di oppiacei hanno invece chiesto al giudice di respingere il caso. A loro dire, i comuni e le contee non sono in grado di dimostrare che le loro azioni sono responsabili delle overdosi, e nemmeno delle prescrizioni eccessive da parte dei medici.