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Colombia. Le Farc chiedono aiuto alla Santa Sede

Lucia Capuzzi mercoledì 19 agosto 2015
Nell'agenda papale a Cuba non è previsto alcun incontro tra il Santo Padre e i rappresentati delle Farc". Lo conferma il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini. Le Farc, nella persona di Antonio Lozada, uno dei negoziatori della guerriglia nel tavolo dell'Avana, aveva chiesto ieri ufficialmente un incontro con Papa Francesco durante la sua visita a Cuba dal 19 al 22 settembre. «È una possibilità realizzabile». Così, dall’Avana, ha dichiarato  monsignor Luis Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale colombiana, dopo due ore di incontro con i delegati delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Il possibile coinvolgimento della Santa Sede nel negoziato di pace tra governo e guerriglia resta, dunque, una questione aperta. «Abbiamo cercato di capire come dare attuazione al desiderio del Papa di contribuire in modo pratico alla fine del conflitto», ha aggiunto monsignor Castro Quiroga.  L’arcivescovo di Tunja, insieme a padre Darío Echeverry e monsignor Nel Beltrán, si trova nella capitale cubana per esprimere il sostegno della Chiesa colombiana al processo di pace in atto dal 15 novembre 2012. La fine alla guerra più vecchia dell’America Latina – 51 anni dall’inizio ufficiale – sta molto a cuore al Papa. Francesco ne aveva parlato nell’udienza con il presidente Juan Manuel Santos del 15 giugno scorso. E il 13 agosto, in una lette- ra al convegno della magistratura colombiana del segretario di Stato Pietro Parolin, il Pontefice aveva esortato a «contribuire con coraggio e creatività» alla pace. Specie ora: il negoziato ha attraversato una forte crisi tra aprile e giugno. Adesso – dice ad Avvenire Christian Voelkel dell’International Crisis Group – ci troviamo vicini al traguardo: l’ultimo tratto si presenta, però, irto di ostacoli. Da qui, l’urgenza delle parti di incassare il sostegno internazionale. Il presidente Santos ha di recente moltiplicato gli appelli all’Europa. Le Farc hanno deciso di chiedere aiuto alla Santa Sede. Il 2 agosto, i rappresentanti del movimento guerrigliero hanno espresso il desiderio di incontrare il Papa durante il suo viaggio a Cuba tra il 19 e il 22 settembre. Lunedì, Antonio Lozada, uno dei negoziatori della guerriglia, ha presentato formale richiesta all’episcopato colombiano che, a sua volta, la inoltrerà al Vaticano. «Vogliamo studiare la possibilità di un incontro», ha detto Lozada. E ha aggiunto: «Stiamo proponendo che nelle negoziazioni vi sia anche un delegato di papa Francesco. Sappiamo, però, che lo devono chiedere entrambi le parti». Il capo della delegazione,  Iván Márquez, alias Luciano Marín Arango, ha poi sottolineato: «Vorremmo davvero salutare papa Francesco. Speriamo di poter avere l’opportunità. Vogliamo che il negoziato avanzi. E vogliamo il sostegno a quest’ultimo del mondo cattolico. La Chiesa può dare un gran contributo per arrivare all’accordo finale». Finora, dalla Santa Sede non è arrivata alcuna risposta. Monsignor Castro Quiroga si è limitato ad affermare che tale incontro è una possibilità, anche se molto dipende dal governo e dalla Chiesa cubana. «Tutti vedono positivamente una partecipazione del Papa in questo processo», ha detto, citato da Il Sismografo, l’arcivescovo che domani si riunirà con le due delegazioni riunite.  Al di là dell’ipotetico incontro con le Farc, «Francesco e la Chiesa sono già coinvolti nel processo di pace. Il Papa segue con attenzione le trattative e ha rivolto numerosi appelli per la pace – spiega ad Avvenire, Luis Eduardo Celis, esperto del centro di ricerca Arcoiris –. La Chiesa colombiana si è spesa in tutti i tre precedenti intenti di negoziato ». La prima mediazione risale a 1982. «Stavolta potrebbe essere quella definitiva. Entrambe le parti sanno di non poter vincere per via militare». Le due delegazioni hanno trovato un compromesso su tre dei cinque punti in agenda: riforma agraria, narcotraffico, partecipazione politica del gruppo armato. Mancano, però, due nodi centrali: giustizia e riparazione delle vittime e fine del conflitto, ovvero smobilitazione e garanzie di sicurezza per le Farc. «Risolvere tali questioni ha un alto costo politico sia per l’esecutivo sia per i guerriglieri», conclude Celis. Vi è poi lo scoglio della droga. Nel corso della “guerra sporca” pluridecennale, la guerriglia marxista si è coinvolta pesantemente nella produzione e nel traffico di cocaina. Per quanto i vertici abbiano deciso di rinunciare al narcotraffico, alcune formazioni dissidenti rifiutano la prospettiva. «Per questo il negoziato è complesso – dice Voelkel –. Finora i rappresentati hanno preferito prolungare le trattative per acquisire fiducia reciproca e garantire il compimento di quanto pattuito. Il rischio di una trattativa lampo era che l’accordo restasse lettera morta».