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Inchiesta. La Russia in Africa: armi e affari per il controllo

Francesco Palmas domenica 3 novembre 2019

Vecchi amici e nuovi partner: è questo il binomio perfetto del ritorno russo in Africa. Mosca riscopre la valenza strategica del Continente nero, suggellando a Sochi sul mar Nero la fine della parentesi fatale post-sovietica. Emulando il dinamismo cinese in campo commerciale e geopolitico che ha dichiarato guerra a chi si contrappone al suo espansionismo, Vladimir Putin ha voluto un primo vertice Russia-Africa: che è andato in scena una settimana fa. Un modo per ribadire i fasti di un tempo, quando l’Urss era un gigante panregionale. Durante la Guerra fredda, il continente era stato uno dei teatri di contesa principali fra superpotenze. Fu qui, alla fine degli anni ’70, che si verificò una delle ultime espansioni del campo socialista, fra il Corno d’Africa e le ex colonie portoghesi dell’Africa australe. Simbolo della sovra-estensione sovietica, l’impegno dei compagni di Mosca nella regione fu una delle prime vittime della perestroika.

La ritirata strategica decisa da Mikhail Gorbaciov aveva motivi economici, oltre che distensivi con l’Occidente. Fu brutale. L’impronta moscovita in Africa sparì del tutto con il crollo sovietico. Una paralisi durata quindici anni. Con il secondo mandato di Vladimir Putin, la musica è totalmente cambiata. Nel solo 2006, il presidente russo ha effettuato due visite ufficiali in Africa, prima in Algeria, poi in Sudafrica e in Marocco. Pur non potendo competere con il gigantismo della diplomazia economica africana di Cina e Giappone, Mosca sta rivitalizzando le vecchie reti di legami sovietiche, cooptando nuovi partner. Sta di fatto sgomitando per non perdere un solo centimetro nella corsa alla cosiddetta “terza colonizzazione” del Continente africano. Ha nominato un inviato speciale per il Continente, Mikhail Marguelov, ex presidente della Commissione esteri del Consiglio della Federazione.

La Russia ha optato per una strategia in due tempi: primo, annullare il debito d’epoca sovietica con gli amici africani; secondo, fornire armi e accaparrarsi contratti di sfruttamento minerario. Uno schema che ha funzionato alla grande con l’Algeria, prima di esser applicato all’Africa australe, se solo si pensi ai diamanti e alla cooperazione spaziale con l’Angola. Nell’area esterna all’orbita d’influenza ex sovietica sono stati i grandi gruppi privati a condurre le danze. Renova di Viktor Vekselberg si è imposta in Sudafrica; Rusal di Oleg Deripaska in Guinea e la compagnia petrolifera privata Lukoil è penetrata in Costa d’Avorio. I colossi pubblici hanno fatto il resto. Rosatom ha acquistato miniere di uranio in Tanzania e in Namibia; Rostec ha investito nel giacimento di platino Darwendale in Zimbabwe, mentre Roboronoexport ha spiazzato tutta la concorrenza, vendendo all’Uganda cacciabombardieri di ultima generazione. Diplomazia militare, grandi contratti d’armamento, affari energetici e commerciali sono i pilastri del neo-espansionismo russo in Africa, insieme ai dossier politici seguiti da Mosca, fra Sudan del Sud, Centrafrica, Mali, Somalia, Sahara occidentale e Libia. Ma sono soprattutto le armi e i negoziati militari il volano del ritorno moscovita in Africa, in un continuum strategico con il Medio Oriente. La guerra in Siria è stata la grande vetrina per il mondo degli affari militari russi: la vittoria dell’Armata rossa ha spianato la strada a una neo-penetrazione fortissima anche in Africa. Alexandre Mikheev, amministratore delegato di Rosoboronexport, è radioso: «A fine 2019, avremo piazzato in Africa 4 miliardi di dollari di armi, soprattutto aerei da guerra, sistemi di difesa antiaerea, veicoli blindati, armi leggere, missili anticarro e navi».

Il portafoglio ordini è ricchissimo: vale già 14 miliardi di dollari per l’anno in corso e per i prossimi, con 20 paesi africani che aspettano di ricevere le armi ordinate. Il sistema antiaereo Pantsir, che ha fatto bella mostra di sé in Siria, ha venduto in Algeria, Etiopia, Cirenaica e Guinea Equatoriale. Interessa ora il Camerun. Mosca inonda di armi l’Egitto e l’Algeria, con contratti talvolta opachi. Sta rimettendo in sesto l’aeronautica militare di Uganda, Nigeria e Angola. Con il governo di Abuja è in corso di finalizzazione un contratto per la fornitura di elicotteri militari. I tre grandi formano con il Sudafrica l’asse portante della geopolitica russa «a sud del Sahara». È tutto un fervere di iniziative. Mosca ha contatti militari con 40 Paesi africani. Ambascerie e legami longevi, che si sovrappongono a quelli emergenti.

La Namibia accoglierà presto consiglieri militari russi. Il Centrafrica offrirà una base militare a Mosca. Ospita già consiglieri militari e mercenari russi, che difendono i contratti energetici e proteggono il presidente Touadera. Bangui vuole altre armi russe. Stavolta sistemi pesanti. Ma è il Sudafrica dei Brics il nuovo vettore della geopolitica russo- africana. Mosca ha appena spedito due bombardieri strategici a Pretoria e si appresta a svolgere manovre navali congiunte con la marina sudafricana e cinese, al largo dell’Africa australe. La Russia è percepita dalla dirigenza sudafricana come una soluzione possibile ai problemi dell’industria bellica locale. Molti contatti sono in corso con Rostec e Kalashnikov. Anche il Mozambico, bramato dai progetti energetici di Rosneft, è tornato a pieno titolo nell’orbita russa. Sembra che Mosca abbia spedito in soccorso delle forze armate locali 200 uomini delle forze speciali e tre elicotteri d’attacco, per fronteggiare la ribellione jihadista nella provincia di Cabo Delgado. L’aiuto militare sta crescendo. È ben documentato. Il 25 settembre scorso un cargo strategico dell’aviazione russa, immatricolato RA-82038, è stato segnalato nello scalo di Nacala, 180 chilometri a sud di Pemba. Trasportava un elicottero d’attacco ed equipaggiamenti militari per le forze armate mozambicane. Quattro consegne di armi si sono susseguite negli ultimi due mesi. Mosca avrebbe deciso di cancellare il 95% del debito mozambicano, in cambio di accordi bilaterali nel campo minerario, energetico e finanziario. Mercenari russi della Wagner sarebbero della partita, insieme a contractor della società a capitale cinese Fsg, diretta da Erik Prince, e a uomini della Sttep, una società militare privata creata da Eeben Barlow, ex numero uno della compagnia sudafricana Executive Outcomes.

La presenza dei neo-mercenari è stata difesa a spada tratta dal nuovo ambasciatore russo in Sudafrica, Ilya Rogachevlors. Se l’Eritrea ha aperto a Sochi una nuova era di collaborazione militare e tecnica con la Russia, la Nigeria sembra propensa a un ruolo maggiore di Mosca, in economia come nella sicurezza e nelle forze armate. Nel mirino c’è anche Boko Haram. Ventotto anni dopo la fine dell’Urss, Mosca ha reinvestito su nuovi basi il continente africano. Il suo ritorno è per ora limitato. Gli scambi commerciali bilaterali si aggirano sui 15 miliardi di dollari l’anno. Poco se paragonato allo strapotere cinese.

Più di 10mila imprese di Pechino operano nel continente africano. Assicurano il 12% della produzione industriale continentale con introiti pari a 500 miliardi di dollari. La Cina ha il potere economico, brama progetti infrastrutturali e grandi interconnessioni. Metà dei fondi destinati alle nuove vie della Seta è diretto in Africa. Paesi come Kenya, Etiopia e Gibuti sono colonizzati a colpi di porti, ferrovie e strade. Ecco perché molti dirigenti africani vedono con simpatia il ritorno russo in grande stile nel Continente. Un modo per controbilanciare l’eccessiva esuberanza cinese e occidentale.