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L'EX MINISTRO LAMMY. Gran Bretagna, la rivincita della società

Silvia Guzzetti sabato 17 marzo 2012
«The baby of the House», ovvero "il neonato della casa del parlamento", così è stato chiamato, con il soprannome che il mondo anglosassone riserva ai membri più giovani dei suoi parlamenti, David Lammy quando è entrato a Westminster ad appena ventotto anni.Nato a Tottenham, proprio la zona dove sono cominciati i disordini dello scorso agosto, da genitori di colore della Guyana, Lammy ha tutti gli ingredienti per offrire di quella rivoluzione che scioccò la Gran Bretagna: la migliore analisi. Cresciuto soltanto dalla madre abbandonata dal padre insieme ad altri quattro fratelli, Lammy arrivò all’università e poi ad Harvard grazie a una borsa di studio come membro di un coro di una scuola privata di Peterborough. A Tottenham, dove aveva visto amici e parenti coinvolti dai disordini già vent’anni prima, è tornato nel Duemila come parlamentare.Ministro per nove anni, durante l’ultimo governo laburista, nella sanità, nella cultura, negli affari costituzionali, nel lavoro, Lammy ha firmato, qualche mese dopo i disordini, Out of the ashes ("Dalle ceneri"), un volume di successo che è una interpretazione dei disordini che ha ricevuto recensioni positive da tutti i maggiori quotidiani britannici. Nel libro, che tocca tutti i nodi della politica di oggi, da lavoro a immigrazione, a prigioni, banche ed educazione, Lammy offre nuove soluzioni e lancia un appello per una società dove la preoccupazione per l’altro venga rimessa al centro.Nel suo libro lei spiega che, in Gran Bretagna, erano le classi lavoratrici le depositarie di valori come duro lavoro e amore per la comunità, mentre i nobili curavano i loro titoli e le classi medie la loro ricchezza.Oggi non è più vero. Quei valori sono stati distrutti dal liberalismo degli anni Sessanta e dalla rivoluzione thatcheriana. Il mio libro parla di valori che vengono soppressi. Gli esseri umani sono necessariamente interdipendenti. È il nostro istinto, ma una volta che creiamo un sistema che incoraggia l’iperindividualismo, questa tendenza naturale a fare comunità viene soppressa.Si tratta di dare vita a istituzioni che sostengano e confermino questi valori.Penso che a questo punto della nostra storia è importante pensare a come possiamo riunirci insieme e agire come un’entità comune, diventando più responsabili gli uni per gli altri; e ci vogliono politiche che sostengano tutto questo.Pensa che questi valori siano ancora presenti anche fra quei giovani che hanno devastato i negozi dei loro stessi quartieri e aggredito poliziotti col sorriso sulle labbra per potersi provare un paio di scarpe di marca?L’ironia è che, quando i giovani comunicano col Blackberry per generare caos e distruzione, di fatto comunicano gli uni con gli altri, il che è un atto collettivo. Quindi, certo, i valori umani per il bene comune saranno sempre presenti, ma dobbiamo riconoscere che sono stati indeboliti dalle due rivoluzioni del ventesimo secolo, delle quali ho parlato, e che c’è molto che possiamo fare per mitigarne gli effetti peggiori.Nel suo libro lei cita le chiese come promotrici di quei valori che tengono insieme la società e che oggi sono indeboliti. È evidente oggi nel Regno Unito uno scontro tra religione e secolarismo. Lavoratori ai quali viene vietato di portare simboli religiosi, agenzie di adozione cattoliche che devono chiudere perché non vogliono considerare coppie gay come adottive, scuole gestite dalle chiese che sono sotto attacco perché promuovono la fede. Che cosa ne pensa?Penso che la Gran Bretagna non ha una costituzione scritta e quindi vediamo un secolarismo aggressivo, intollerante del ruolo della religione nella società, che non vuole riconoscere che molte persone hanno una identità musulmana, ebrea, cristiana. Io ho una forte fede cristiana. Sono un anglicano praticante della parte della Chiesa di Inghilterra più vicina alla Chiesa cattolica e, per questo, penso che sia enormemente importante che la Chiesa continui a parlare a favore dei poveri e, in un’epoca di così grandi diseguaglianze di ricchezza, c’è un ruolo molto attivo che la Chiesa può esercitare insieme a persone che non hanno fede. Ci vuole un nuovo accordo che dia garanzie alle diverse religioni.Il suo libro è un appello a favore della famiglia e della comunità, che ricorda la dottrina sociale cattolica. Non è strano che sia firmato da un laburista, ossia da chi milita in un partito che ha un’agenda molto liberale?Non penso che ci sia incompatibilità tra coloro che rappresentano il centrosinistra e i valori del lavoro e della comunità. Queste sono antiche idee socialiste. La verità è che nessuna tradizione politica ha l’esclusiva sul diritto a conservare così come nessuna tradizione politica ha l’esclusiva sul progresso. Questi valori stanno in posti diversi. Ho cercato di scrivere un libro che sia onesto, sfidi sia la sinistra che la destra e indichi una via nuova.Si descriverebbe come un socialista vecchio stampo?No, ho lavorato molto duro su questo libro per pensare in un modo nuovo. Non sono un vecchio laburista, non sono un nuovo laburista. Ho voluto trovare una nuova strada.Spesso si accusa il welfare inglese di generare dipendenza e togliere a chi riceve i sussidi l’incentivo a lavorare.Penso che il welfare vada semplificato e riformato, e parlo di questo a lungo nel mio libro. In fondo si tratta di un sistema di assicurazioni per persone che attraversano un momento difficile, ma non può né deve mai generare una cultura della dipendenza.Lei racconta nel suo libro due esempi di rigenerazione sociale di successo, la "London Boxing Academy", un’accademia che usa il pugilato per recuperare ragazzi difficili, e il modello di prigioni "Heron", dove i carcerati, nell’ultimo periodo, vengono preparati per il reinserimento in comunità; ma spiega che sono costosissimi.Sì, non costano poco, ma i disordini sono più costosi. Dobbiamo investire nei centri delle nostre città, nelle aree più povere del nostro paese e, in particolare, nei giovani. Abbiamo bisogno di un sistema di prigioni che non punisca semplicemente ma riabiliti. Abbiamo il 75% di giovani prigionieri che esce e infrange di nuovo la legge.Lei rimane ottimista nonostante un sistema economico che, come spiega nel libro, impoverisce sempre di più i più poveri?Sì, nonostante i disordini e i problemi, ci sono così tante persone che fanno così tanto per la comunità ogni giorno e così tante famiglie che lottano ma ce la fanno. Ovviamente mi ha spezzato il cuore vedere 700 persone per strada durante i disordini a Tottenham, ma più importanti erano i 26 mila giovani rimasti a casa. Questa è la storia di successo e su questa dobbiamo costruire.​