Mondo

Il caos in Nicaragua. La scure di Ortega sullo scrittore

Lucia Capuzzi giovedì 9 settembre 2021

«Non è la prima volta. Nel 1977, la famiglia Somoza mi accusò, attraverso i suoi procuratori e giudici, di delitti simili a quelli contestatemi ora (…). Allora lottavo contro quella dittatura come ora lotto contro questa». Così, Sergio Ramírez – Premio Cervantes e scrittore tra i più noti dell’America Latina –, in un video-messaggio, ha risposto alla notizia del mandato di cattura per riciclaggio, incitamento all’odio, cospirazione e attacco all’ordine, spiccato nei suoi confronti dalla Procura generale nicaraguense. O, meglio, dal governo di Daniel Ortega che controlla il potere giudiziario come il resto delle istituzioni nazionali.

Proprio come il regime del clan Somoza che Ortega e Ramírez – entrambi esponenti di spicco del movimento sandinista – contribuirono a rovesciare negli anni Settanta. Per poi, a partire dal 1979, governare insieme, il primo come presidente e il secondo come vice nel lungo decennio di rivoluzione nazionalista e socialisteggiante. Dalla sconfitta dei sandinisti alle presidenziali del 1990, però, le loro strade politiche, si sono divise. Ortega ha speso ogni energia per tornare potere: quando ci è riuscito, nel 2006, a costo di allearsi con ex fiancheggiatori di Somoza e ultradestra, ha fatto di tutto per non perderlo. Incluso cambiare la Costituzione per abolire i limiti alla rielezione, piazzare i propri familiari nei posti chiave dell’amministrazione e cooptare partiti e mondo imprenditoriale.

Ramírez è diventato uno dei principali referenti intellettuali dell’opposizione. Un ruolo rischioso in un Nicaragua che ha visto aumentare le pressioni sul dissenso. Il prestigio internazionale, però, aveva dato all’autore un discreto margine di manovra perfino dopo la rivolta pacifica dell’aprile 2018, stroncata nel sangue dal governo. Almeno fino ad ora. Con l’ordine di arresto del più celebre fra i suoi compagni di lotta, la repressione ha compiuto un salto di qualità. Innescato dall’approssimarsi del voto di novembre che vede l’eterno candidato Ortega in posizione fragile. Alla crisi economica, seguita al taglio degli aiuti venezuelani, s’è sommato l’ostracismo internazionale per la mattanza di tre anni fa. E ora la gestione controversa e poco trasparente della pandemia.

Da qui il giro di vite cominciato a giugno con il fermo della principale rivale, Cristiana Chamorro, tuttora in cella. Da allora, altri 35 oppositori di spicco sono finiti dietro le sbarre. Ora tocca a Ramírez. Già quest’estate, lo scrittore era stato interrogato dalla Procura per presunto riciclaggio data la collaborazione della sua Fondazione con quella di Chamorro. La sua casa di Managua era stata perquisita. Ora Ortega ha alzato il tiro. Il mandato è stato emesso proprio mentre lo scrittore è impegnato in un tour internazionale per promuovere il nuovo romanzo, “Tongolele no sabía bailar”. Affatto intimidito, Ramírez ha dichiarato: «Non mi ridurranno al silenzio». Dovrà con tutta probabilità, continuare a parlare fuori dal Nicaragua. Nemmeno questo, però, lo spaventa. Lo scrittore ha già affrontato l’esilio al tempo dei Somoza. Del resto, come ripete spesso, «le dittature mancano di fantasia».