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Intervista. La politologa Kodmani il mondo salvi Aleppo

Daniele Zappalà venerdì 8 maggio 2015
«Non bisogna lasciar cadere le iniziative lanciate per tentare di soccorrere Aleppo. Se la popolazione della città dovesse ritrovare il cammino verso anche solo un’apparente normalità, ciò diventerebbe un messaggio di speranza fortissimo per tutta la Siria». A pensarlo è la politologa siriana Bassma Kodmani, che dal 2005 dirige fra Parigi e Beirut l’“Iniziativa araba di riforma”, istituto indipendente di ricerca che pubblica rapporti sul mondo arabo. Nata a Damasco e partita a 10 anni in esilio con la famiglia, di recente è tornata più volte in Siria. Fra i fondatori nel 2011 del Consiglio nazionale siriano, aveva accettato di divenirne portavoce, prima di dimettersi dall’istituzione dell’opposizione nell’agosto 2012.  Ancor più di altre, Aleppo è diventata una città martire. Perché tanto accanimento sui civili?Era il polmone economico nazionale e un simbolo esemplare di coesistenza multietnica. Il controllo della città è decisivo nella guerra sul piano psicologico, politico e militare. Ma si cerca di mettere a morte pure l’eccezionale diversità culturale, etnica, religiosa e linguistica della città.Ogni segnale mostra una popolazione allo stremo…Ormai, gran parte dei civili vogliono solo che cessi la sofferenza. Tanti dicono che la città è tornata all’Età della pietra. Lo scorso gennaio, abbiamo interrogato quasi un migliaio di cittadini nella zona di guerra di Aleppo. Indipendentemente dagli effetti politici, il 53% accetterebbe uno stop, anche se il regime dovesse beneficiarne. L’insieme della popolazione civile non si pone problemi di coesistenza e ci sono anzi di continuo nuovi gesti quotidiani di solidarietà fra le diverse comunità. Sono le fazioni armate a tentare di accendere l’odio, anche con mezzi mediatici.Come giudica il ruolo della comunità internazionale e l’iniziativa in corso di Sant’Egidio?La diplomazia ufficiale della comunità internazionale si è a lungo dimostrata inefficace. L’iniziativa di Sant’Egidio si concentra giustamente sulla priorità assoluta, ovvero l’apertura di corridoi umanitari, proponendo di trasformare Aleppo in una città aperta. Servono pane e medicine. Purtroppo, si è giunti a uno stadio di violenza e guerra totale che non risparmia più nessuno, compresi neonati, ammalati, vecchi, donne. Per i più radicali, ormai tutto è permesso. La popolazione è ridotta totalmente all’impotenza. L’iniziativa di Sant’Egidio ripresa dal rappresentante dell’Onu Staffan de Mistura può ridare voce ai civili.Si possono ipotizzare residui margini politici di discussione?Quando è stata ripresa dall’Onu, l’iniziativa ha incontrato difficoltà e rifiuti. Ma resta un varco possibile per tentare d’inaugurare vere discussioni. Occorre un lavoro strenuo e continuo per isolare la questione umanitaria, in modo da cercare di restituire ad Aleppo la parvenza di città.Circolano ancora ipotesi di opzioni militari internazionali?Oggi, l’unica opzione militare in discussione è quella di creare una zona senza bombardamenti protetta da forze di sicurezza. I rischi delle altre opzioni militari paiono eccessivi. Quale orientamento dovrebbe prendere la diplomazia europea?L’Europa dovrebbe pensare collettivamente prima di tutto a spingere all’intervento diplomatico gli Stati Uniti, che sono l’attore decisivo, essendo già coinvolta pure la Russia. L’Europa deve riuscire a far capire a Washington che dal punto di vista europeo, interessarsi alla Siria non è un’opzione, ma una necessità, anche in termini di sicurezza. L’esodo di civili da Aleppo è già una realtà, ma potrebbe prendere in fretta proporzioni senza precedenti. Eppure, pur potendo far molto, l’Europa al momento non sembra avere progetti precisi.