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Ucraina. La disperazione nel Donbass: qui la guerra non è mai finita

Francesca Ghirardelli venerdì 23 aprile 2021

Militare ucraino in trincea lungo la linea di confine a Horlivka, Donetsk

Quando gli si chiede come sia mutata, in queste settimane di alta tensione, la vita della popolazione del Donbass, risponde descrivendo i tormenti degli ultimi sette anni di guerra, come per rimarcare quanto questi siano stati già duri abbastanza. «Viviamo con il rischio perenne di un attacco russo e certo la gente ha paura, è nervosa; ma la popolazione lungo i 427 chilometri della linea di contatto vive con questi timori sin dal 2014» ci tiene a dire subito il presidente di Caritas ucraina, Andrij Waskowycz. «Non hanno mai smesso di temere per la loro vita perché hanno assistito quasi quotidianamente a spari, lanci di granate, mine che esplodono. Con la tregua di luglio si era registrato un calo, ma le violenze sono tornate. Eppure a lungo il mondo ha guardato altrove, convinto che qui tutto fosse tranquillo». Dopo il recente e massiccio dispiegamento di truppe russe ai confini ucraini, ieri il Cremlino ha annunciato che le «manovre finiranno» oggi e Putin si è detto pronto a ricevere a Mosca il suo omologo ucraino Zelensky. Se la strategia di alzare e poi bruscamente abbassare la pressione con una de-escalation improvvisa sarà servita a forzare Kiev verso una diplomazia obbligata di concessioni per le auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk, ancora non si sa. Non può saperlo la gente che vive lun- go la linea di contatto che divide i territori rimasti sotto il controllo del governo ucraino da quelli nelle mani dei separatisti filo-russi dal 2014. Qui la Caritas locale ha 250 operatori tra assistenti sociali, personale umanitario e psicologi, impegnati nella distribuzione di acqua potabile che altrimenti mancherebbe, pacchi di cibo e forniture di carbone perché le spese per il riscaldamento consumano quasi del tutto le magre pensioni (in media di 70 euro).

Viene anche offerto supporto psicologico per affrontare traumi, lutti e il tormento di non vedere più una prospettiva davanti a sé. «Tra combattimenti, sfollati interni e pandemia, si vive sotto un enorme stress», prosegue Waskowycz. «In molti villaggi non c’è più una filiera di approvvigionamento e le risorse sono così scarse da spingere a decisioni impossibili: spendere per il cibo o per i medicinali?». Anche senza che si riaccenda il conflitto, sono 3.4 milioni le persone che necessitano già ora di aiuto, sulla linea del fronte e tra gli sfollati. Il piano Onu per quest’anno punta ad assisterne 1.9 milioni. A complicare l’intervento è anche è la situazione demografica dei villaggi: «Un terzo dei residenti è composto da anziani.

Grave è l’isolamento di chi ha visto i familiari più giovani trasferirsi altrove. Mi è capitato di visitare un piccolo centro urbano in cui tutti gli abitanti, eccetto uno, avevano più di 60 anni. Se qualcuno si ammala, nessuno può assisterlo. In un villaggio ho chiesto ai nostri psicologi se stessero lavorando con gli ado-lescenti: hanno risposto che di ragazzi lì non ce n’erano». In un contesto già compromesso, l’ipotesi di una nuova incursione suscita interrogativi inquietanti: «Qui nella capitale ci si chiede quale potrebbe essere la dimensione della crisi umanitaria» conclude Waskowycz. «Dal 2014 abbiamo 1,8 milioni di sfollati interni, persone che si sposterebbero subito se fossero di nuovo a rischio, visto che non possiedono più nulla da 7 anni. Si assisterebbe a un enorme movimento di persone. Non posso immaginare cosa questo significherebbe per l’Ucraina e, di conseguenza, per il resto dell’Europa».