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Il rapporto. La condanna Onu al Nicaragua:«Ortega calpesta i diritti umani»

Paola Del Vecchio sabato 4 marzo 2023

Esecuzioni extragiudiziarie, arresti illegali, tortura e trattamento disumano e degradante, privazione arbitraria della nazionalità e del diritto a restare nel proprio Paese, di partecipare alla vita pubblica, censura delle libertà di espressione, opinione, associazione, di coscienza e di religione.

Il rapporto del Gruppo di esperti indipendenti delle Nazioni Unite, incaricato un anno fa dal Consiglio dei diritti umani, ha confermato che Daniel Ortega e la moglie Rosario Murillo, con la cupola politica e di polizia, hanno commesso in Nicaragua violazioni sistematiche dei diritti umani e crimini contro l’umanità e contro i civili dal 2018 a oggi.

Dalla spirale di violenza letale, che soffocò le proteste sociali con le pallottole di polizia e dei gruppi paramilitari, lasciando sul terreno 355 morti, alla recente revoca della nazionalità a 316 persone accusate di tradimento alla patria, fra cui i 222 oppositori espulsi dal paese il 9 febbraio scorso. E la sistematica persecuzione della Chiesa, con la condanna a 15 anni di carcere di monsignor Rolando Álvarez, il vescovo di Metagalpa, l’ultima voce critica contro la violazione dei diritti umani silenziata nel carcere di Managua, mentre altri 9 sacerdoti sono stati condannati e 6 sono stati esiliati negli Usa.

Abusi che «non sono un fenomeno isolato ma il prodotto dello smantellamento deliberato delle istituzioni democratiche e della distruzione dello spazio civico e democratico», si legge nel rapporto. «L’apparato statale nella sua interezza è stato convertito in un’arma di persecuzione contro la popolazione», ha rimarcato il presidente del Gruppo, il tedesco Jan-Michael Simon, nel presentare a Ginevra le conclusioni dell’inchiesta. Che segnala «prove» e responsabilità non solo della coppia presidenziale, ma anche dei funzionari delle strutture di governo e degli individui coinvolti nei crimini e nelle violazioni.

«Tutti gli elementi che si vedono in Nicaragua, disgraziatamente, si possono ravvisare nei processi di Norimberga», ha assicurato Simon nel paragonare la situazione alla repressione del decennio del 1930 in Europa. Per ora non c’è stata alcuna reazione del regime di Managua, che non ha risposto a 12 richieste formali di informazioni e ha impedito alla missione Onu di entrare in Nicaragua. L’indagine si basa sulla documentazione e oltre 300 interviste di ex autorità, vittime ed esponenti della società civile consultati in esilio. Contabilizza almeno 3.144 organizzazioni civili chiuse dal dicembre del 2018 e «praticamente tutti i mezzi di comunicazione indipendenti». Gli esperti dell’Onu ricorrono alla formula standard di prova dell’esistenza di «motivi ragionevoli per credere» che «le autorità del massimo livello della struttura di Stato, includendo il presidente Ortega e la vicepresidente Murillo, così come gli alti comandi di polizia, parteciparono alla commissione dei delitti documentati nel rapporto».

Per di più, con i vertici del Sistema penitenziario «sapevano o dovevano sapere dei crimini e delle violazioni commesse dai subordinati», della «tortura fisica e psicologica, inclusa la violenza sessuale e di genere, nei procedimenti di detenzione e di interrogatorio degli oppositori», e non hanno fatto nulla per fermarli.

Finiranno davanti ai tribunali? Jan-Michael Simon ha spiegato che i «motivi ragionevoli» sono «sufficienti per giustificare ulteriori investigazioni». E, anche se il Nicaragua non ha ratificato lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale davanti alla quale portare i responsabili, sollecita la comunità internazionale ad aprire processi in ogni singolo Paese, indipendentemente dalla nazionalità delle vittime, in base al principio di giurisdizione universale riconosciuto nei propri ordinamenti.