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IL FATTO. Israele, un voto «caldo»

Federica Zoja lunedì 21 gennaio 2013
Gli analisti non hanno dubbi: per il premier uscente Benjamin Netanyahu, con il voto di martedì, arriverà il terzo mandato (il secondo consecutivo). Non tanto perché il blocco di centro-destra farà il botto, con un alto numero di seggi, piuttosto perché a sinistra prevarranno le divisioni. Quanto a governare, l’estrema frammentazione che potrebbe caratterizzare la nuova Knesset (il Parlamento, giunto alla 19esima legislatura) metterà in forte difficoltà “re Bibi”, a tal punto da far temere che l’anticipato scioglimento della Camera a ottobre si riveli inutile.Tre mesi fa, l’esecutivo israeliano si incagliò sullo scoglio della manovra economica, dura ma necessaria. Un ostacolo che il nuovo governo troverà tale e quale sulla propria strada ora, mentre la crescita continua a rallentare e la disoccupazione accelera (oltre il 7%, rispetto al 5,4% del gennaio scorso). Intanto, nella società in piena polarizzazione, si accentuano le divisioni fra laici e religiosi, arabi ed ebrei. Dalla compagine di governo che il premier deciderà di mettere assieme dipenderà dunque la tenuta della società israeliana, ma anche l’orientamento delle strategie all’estero: in primo piano, l’eventuale ripresa dei negoziati con i palestinesi di Ramallah e Gaza. E anche un attacco mirato contro le postazioni nucleari iraniane, sfiorato poco prima delle elezioni e brandito da Benjamin Netanyahu di fronte al suo elettorato a fini propagandistici. Secondo gli ultimi sondaggi, per i 120 seggi in palio per cui voteranno 5 milioni e 700mila elettori (quasi 400mila in più del 2009) con un sistema proporzionale con sbarramento al 2%, il tandem Likud-Israel beitenu (Consolidamento-Israele casa nostra) di Benjamin Netanyahu e del ministro degli Esteri uscente Avigdor Lieberman gode di una maggioranza relativa compresa fra 32 e 35 deputati. Di che dormire sereni, anche se con una flessione rispetto al voto del 2009 (allora furono 42).All’asse della destra nazionalista di governo si aggiungeranno i voti degli alleati ultra-ortodossi di Shas, attestati intorno a 10-12 seggi, come nel 2009. Problematici, invece, i seggi di Habayit Hayehudi (Focolare ebraico), neonata espressione degli abitanti degli insediamenti di Cisgiordania e Gerusalemme est: la stima è di 12-14 seggi, persino 22 secondo il fondatore del movimento, Naftali Bennett. L’area di centro-destra-estrema destra, comunque, dovrebbe riuscire a compattare 63 seggi, raggruppando tutte le formazioni religiose, nazionaliste, conservatrici.Sul fronte opposto, la lista dei laburisti di Shelly Yachimovich, invece, potrebbe aggiudicarsi 16-17 seggi. A seguire, le liste dei moderati: Yesh atid (C’è un futuro) e il suo fondatore Yair Lapid sono attestati intorno a 11-13 seggi, prima dell’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni (già leader di Kadima), con la lista Hatnua (Il movimento, 7-8 seggi). Il sopravvissuto Kadima (Avanti) di Shaul Mofaz, è accreditato di due seggi appena: una débacle storica, visti i 28 della legislatura appena terminata. In ascesa, al contrario, lo storico Meretz, il partito sionista di sinistra, che dovrebbe raddoppiare la propria presenza in Parlamento, da 3 a 6 seggi. Quanto alla lista araba, frutto della fusione di tre partiti, dovrebbe mantenere gli stessi risultati del 2009 (4 seggi). Situazione dunque cristallizzata, mentre l’avvio di campagna elettorale era stato scoppiettante: prima la saga di Olmert, indeciso se partecipare alla competizione; poi il ritiro di Barak, ministro della Difesa appesantito dal fallimento dell’operazione militare a Gaza; e, ancora, l’emorragia di colombe eccellenti dal Likud e lo scandalo finanziario che ha investito Lieberman.