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IL VOTO IN ISRAELE. Nasce la «Knesset più religiosa della storia»

Giorgio Ferrari mercoledì 23 gennaio 2013
«La Knesset più religiosa della storia d’Israele», anticipava il quotidiano Haaretz, e in teoria non aveva torto, ma solo in teoria. Perché nessuno probabilmente si aspettava l’exploit di Yair Lapid, il giovane e ambizioso “anchorman” televisivo che a sorpresa con i suoi 18-19 seggi guadagnati e la sua politica centrista ha inferto alle ambizioni della destra un colpo severo piazzandosi dietro il premier e il suo sodale Lieberman e rosicandogli così tanti voti da farlo scendere da 42 a 31 poltrone alla Knesset. Netanyahu potrà contare così su una risicata maggioranza solo grazie a quel puntello di nazionalisti-cabalisti, di hassidim-ashkenaziti, di ultra-ortodossi che fino alla vigilia sembrava costituire la garanzia indiscussa di avere i numeri per poter continuare a governare il Paese. Ben sapendo tuttavia che la cambiale che avrebbe dovuto pagare ai vari Lieberman, ai Naftali Bennet e alla loro Habayit Hayehudi, ai Guardiani della Torah di Shomrei Sfarad (Shas) piuttosto che al pluridecorato figlio di Yitzhak Shamir, che milita sotto le insegne di Yisrael Beiteinu di Lieberman. Lapid, bello, fotogenico e moderato, leader di Yesh Atid (“C’è un futuro”) e uomo nuovo della politica israeliana sembra aver sorpassato anche i laburisti. Al quarto posto viene Naftali Bennett, quadruplicati i suoi voti, fino a poche ore fa grande star della destra nazionalista e hi-tech, uomo molto amato dai coloni e perfetto per il richiamo che “Bibi” Netanyahu aveva rivolto agli elettori, tanto che nella campagna elettorale aveva giocato molto bene le sue tre tavolette: la prima è la minaccia iraniana, la seconda è il rallentamento dell’economia e l’aumento della povertà e della disoccupazione, la terza è la questione palestinese. L’Iran fa davvero paura e cementa il consenso. L’economia invece divide: Israele corre al galoppo nella crescita del Pil ma lascia sul campo posti di lavoro e bassi salari, due facce della stessa medaglia, quella hi-tech che ha coagulato consensi fra tecnocrati e rabbini e quella sociale che ha spaventato la “middle class” che un tempo votava i laburisti. Quanto ai palestinesi, il capolavoro del premier è stato quello di ignorarli. Al punto che gli stessi arabo-israeliani (un milione di persone sugli otto del Paese) sono stati pervasi da una dilagante sfiducia nella possibilità di cambiare il proprio destino con il voto. Ad accendere qualche fuoco d’orgoglio ci pensava il tecnocrate miliardario Bennett, ideatore di un’Anschluss demografica della Cisgiordania con conseguente “espianto” dei residenti palestinesi (c’è anche chi ha offerto mezzo milione di dollari per ogni famiglia palestinese disposta ad andarsene): miele per il cuore ardente dei coloni e per i più oltranzisti fra i partiti religiosi, come Degel HaTorah e Agudat Israel, riuniti sotto la sigla United Torah Judaism, ed anche per i più duri del Likud, come Moshe Feiglin, che in ossequio ad una delle più note e controverse ossessioni sioniste vuole ricostruire il Tempio sulla Spianata delle Moschee.A sparigliare il tutto, l’improvvido Lapid, fulmine a ciel sereno, probabilmente figlio dell’inaspettata affluenza alle urne. Perché se come prevedibile il blocco di Netanyahu e Lieberman si aggiudica almeno 31 seggi, per costruire una maggioranza di governo stabile la destra religiosa e ultra-nazionalista non basta più. Oltre a Lapid si dovrà ricorrere a Tzipi Livni (scissionista di Kadima e leader di Hatnuah, “Il Movimento”) fin d’ora disposti a collaborare con il premier e che le cancellerie occidentali, Casa Bianca in testa, guardano con favore e magari perfino i laburisti.  E non si tratta soltanto di ambizione o di calcolo politico. L’ipotesi di un’Israele dominata dal tribalismo e dal fondamentalismo religioso è del tutto concreta, tanto da far apparire lo stesso Netanyahu come un moderato. Alla sua destra si agitano non a caso progetti di limitazione dei poteri della Corte Suprema e della libertà di stampa e una serie di restrizioni ulteriori per i palestinesi. E sarà verosimilmente questa la carta che il premier riconfermato si disporrà a giocare: se non volete che Israele scivoli lungo la china nazional-religiosa – dirà – partecipate a una grande coalizione che abbracci anche il voto moderato.