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PALESTINA ALL'ONU. La sfida di Israele: 3.000 case per i coloni

Luca Geronico venerdì 30 novembre 2012
E dopo l’immediata protesta, è scattata pure la ritorsione di Israele. Se giovedì notte Benjamin Netanyahu aveva subito definito il discorso di Abu Mazen «ostile e velenoso», ieri l’annuncio: Israele costruirà 3mila nuove case per i coloni a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Un ritorno alla politica degli insediamenti evidentemente in risposta all’ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come Stato osservatore non membro. Una decisione presa dal Gabinetto della sicurezza nazionale già giovedì notte, e resa nota ieri. Le nuove case saranno edificate in aree già oggetto di un forte contenzioso con i palestinesi, e fra queste anche l’area E1, tra Maaleh Adumim e Gerusalemme: i fabbricati separeranno la Cisgiordania del sud da quella del nord. Un progetto concepito nel 1995 ma che recentemente lo stesso Netanyahu aveva assicurato a Barack Obama di voler congelare. Un piano di insediamenti che, se realizzato, creerà un cuneo che separerà la Cisgiordania del Nord (l’antica Samaria), da quella meridionale (l’antica giudea). Un progetto da sempre osteggiato dall’Autorità nazionale palestinese che ha reagito con durezza: «È un’aggressione israeliana contro uno Stato e il mondo si deve assumere la responsabilità», ha affermato subito Hanan Ashrawi, dell’Olp. Poi la presa di posizione ufficiale del presidente dell’Anp, Abu Mazen: «Vogliamo una ripresa dei negoziati e siamo pronti a farlo», ha dichiarato a New York prima di ripartire per la Palestina. «Ma esistono almeno quindici risoluzioni dell’Onu che considerano la colonizzazione illegale e un ostacolo alla pace». Poi l’avvertimento: se «aggrediti», i palestinesi «hanno il diritto di ricorrere alla Corte penale internazionale». Un botta e risposta che ingarbuglia ulteriormente la “matassa” israelo-palestinese a pochi giorni dalla tregua sancita a fatica nella Striscia di Gaza. Il nuovo piano di insediamenti «è controproducente e rende più difficile rianimare i negoziati di pace», puntualizzava subito la Casa Bianca che pure aveva contestato il voto di giovedì notte al Palazzo di Vetro. Un piano che «non aiuta» il processo di pace, incalzava il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Ma le nuove colonie non sono l’unica risposta promessa da Israele al riconoscimento della Palestina come stato osservatore all’Onu. Il vice premier Moshe Yàalon, parlando con la Radio Israeliana, minacciava la cancellazione di alcune intese sottoscritte negli accordi di pace ad interim. Lo Stato ebraico «annuncerà quali accordi manterremo e quali no», si è limitato a precisare Yàalon. Duro pure il commento dell’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Zion Evrony:«La via per la pace va da Gerusalemme a Ramallah e non passa per New York. Il solo modo per raggiungerla è attraverso accordi diretti tra le due parti», affermava una nota in cui si affermava che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha il potere di garantirne il riconoscimento di uno Stato. Una nuova battaglia giuridica, mentre si è appena conclusa quella a suon di razzi e bombe a Gaza.Un voto all’Onu che ha pure spinto il Canada a «rivedere» le relazioni con i rappresentanti dell’Anp: Ottawa, dopo aver votato contro il riconoscimento dell’Anp, ha annunciata la chiusura dell’ambasciata palestinese e una revoca degli aiuti economici stanziati finora. In questo modo il premier conservatore Stephen Harper ha voluto ricordare di essere il «miglior amico» di Israele.