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MASSACRO IN CATTEDRALE. Iraq, la diaspora forzata: in fuga metà dei cristiani

Camille Eid martedì 2 novembre 2010
Cristiani a rischio estinzione in Iraq. «Un solo sacerdote – scriveva tre giorni fa The New American citando il vescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda – ha registrato l’esodo di 70 famiglie nei dieci giorni scorsi». Non che nel passato siano mancate nel Paese persecuzioni ed eccidi a danno dei cristiani. Ma l’esodo di caldei, assiri, siro-cattolici e siro-ortodossi, armeni e latini è diventato oggi così quotidiano che l’antichissima comunità mesopotamica, per la prima volta nella sua storia, rischia davvero di sparire.I fedeli delle varie denominazioni rappresentavano sino al 2003 quasi 800.000 persone, ossia il 3 per cento dell’intera popolazione irachena (25 milioni di abitanti). Oggi non si sa con esattezza quanti ne manchino all’appello, ma stime prudenti ritengono che oltre 350.000 cristiani abbiano lasciato il Paese in questi ultimi anni. Con la "Grande fuga", così chiamata da Fulvio Scaglione nel titolo di una sua recente pubblicazione, rischia di perdersi per sempre sia un patrimonio preziosissimo di cui tali comunità sono depositarie, sia il ruolo di intermediazione che esse hanno svolto nel contesto musulmano. Stime, queste, confermate dalle autorità irachene. Parlando lo scorso settembre al giornale arabo al-Sharq al-Awsat, il direttore del Dipartimento per i cristiani del ministero per gli Affari religiosi ha affermato che «almeno la metà dei cristiani iracheni che vivevano nel Paese sono emigrati negli ultimi anni». «Sappiamo – ha aggiunto Abdullah al-Nawafel – che il 40 per cento degli iracheni che si trovano attualmente in Siria sono cristiani». Il funzionario iracheno ha sottolineato inoltre che numerosi cristiani «sono dati per dispersi perché sono stati rapiti dai terroristi e uccisi in questi anni, ma non si hanno cifre esatte».La vera emorragia di cristiani dal Medio Oriente, come hanno avuto modo di confermare i padri sinodali a Roma negli ultimi giorni, riguarda l’Iraq. La "prassi" è quasi sempre la stessa. Una prima tappa in un Paese vicino, il tempo di ottenere un visto – ma l’attesa può durare anni – e poi il viaggio verso la loro destinazione finale: Australia, Stati Uniti, Canada o Svezia.Dietro ogni viso incontrato a Damasco, a Beirut, a Konye o ad Amman si nasconde una brutta avventura. Con una voce balbuziente, Samer rievoca i particolari del suo sequestro da parte di uomini mascherati che gli hanno bendato gli occhi e lo hanno portato via. Racconta della sua paura e del suo costante rifugio nella preghiera, delle frustate inflittegli per registrare le sue urla su una cassetta da mandare ai familiari a fini di estorsione. Samer non è un ex dirigente del partito Baath, né un interprete al soldo degli americani, ma un ragazzo di 15 anni. La sua colpa? Appartiene a una famiglia cristiana di Baghdad. O, meglio, che risiedeva nella capitale. Perché, dopo questa dura prova, i suoi genitori e quelli di altri ragazzi sequestrati come lui hanno ritenuto che in Iraq la vita fosse diventata insostenibile per i cristiani. «Qui abbiamo tanti problemi, ma almeno non corriamo simili rischi», dicono. Per loro, «qui» vuol dire la Siria dove sono affluite negli ultimi anni, e in diverse ondate, migliaia di famiglie cristiane irachene. Una delle più consistenti è stata all’indomani degli attentati del 1° agosto 2004 contro diverse chiese di Baghdad e Mosul. Secondo il governo iracheno ben 40 mila cristiani avrebbero lasciato il Paese solo nelle due settimane successive alle esplosioni. Dopo la storica emigrazione degli assiri negli anni Trenta, gli Stati Uniti registrano un nuovo boom di arrivi cristiani iracheni: oggi si calcola a oltre 260 mila il numero degli assiro-caldei residenti nel Paese. La "Chaldean Town", come è stata battezzata ufficialmente l’area metropolitana di Detroit, è diventata una moderna Babilonia, con chiese sempre stracolme alla domenica e in cerca continuamente di nuovi spazi per rispondere alla crescita della comunità. In Canada sono presenti almeno sei comunità assiro-caldee, che totalizzano circa 40 mila fedeli. Altrettanto ampio il numero degli iracheni cristiani finiti in Australia o in Nuova Zelanda, che sono in continuo aumento.Un’identica crescita si registra in Europa dove si stima attorno a 100 mila persone il numero degli assiro-caldei. A Sodertalje, vicino a Stoccolma, è normale sentire parlare la lingua aramaica propria dei rifugiati che rappresentano ormai il 35 per cento della popolazione, ben 22 mila persone. Le altre aree di maggiore insediamento si trovano a Sarcelles, alla periferia di Parigi, e in Germania. I nuovi arrivi seguono un percorso già battuto da migliaia di loro predecessori, arrivati da Mosul, Baghdad e Telkaif. I caldei rimasti in quest’ultima località sono probabilmente il 2 per cento di quelli chi vi abitavano e se ne sono andati.