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Le defezioni. Tre giornaliste lasciano la tv iraniana: «Basta bugie»

Redazione Esteri giovedì 16 gennaio 2020

La giornalista Gelare Jabbari

La giornalista Gelare Jabbari ha scelto in questi giorni Instagram per motivare la scelta fatta un mese fa: "Scusatemi, ho mentito per 13 anni". Zahra Khatami ha prima ringraziato per averla "seguita fino ad oggi", e poi ha detto addio: "Non tornerò mai più in Tv. Perdonatemi". La sua collega Saba Rad, ha fatto altrettanto: "Annuncio che dopo 21 anni di lavoro in radio e Tv non posso continuare a lavorare nei media". L'ondata di rabbia che ha investito l'Iran dopo l'abbattimento dell'aereo ucraino da parte della contraerea di Teheran - ma la cui responsabilità era stata in un primo momento negata da parte del regime - provoca una reazione anche tra le giornaliste della televisione di Stato, alcune delle quali decidono di ribellarsi.
Sembra essere in corso una sorta di "crisi di coscienza" fra i giornalisti, scrive il Guardian, fra i media a dare conto della decisione comunicata nel giro di pochi giorni dalle tre giornaliste iraniane. Una crisi - prosegue il quotidiano britannico - che ha portato anche alcune delle agenzie di stampa considerate più vicine al regime a parlare delle proteste di piazza o almeno a cominciare a menzionare ipotesi su un potenziale insabbiamento. Intanto un'altra defezione suscita polemiche nel mondo dello sport iraniano. Una fotografia in cui appare senza l'hijab, il velo islamico obbligatorio per la Repubblica islamica, ha costretto Shorheh Bayat, prima donna asiatica arbitro di scacchi a livello internazionale, a dire addio al suo Paese. L'immagine, rubata durante una partita a Shanghai valida per i mondiali femminili, è stata pubblicata sui media di Teheran, trasformando suo malgrado Shohreh in un simbolo di ribellione.
"Ho acceso lo smartphone e ho visto che la mia foto era ovunque. Scrivevano che il mio era un gesto di protesta contro l'hejab", dice Shohreh, citata dalla Bbc. In realtà, spiega, il foulard che portava sulla testa per coprire parte dei capelli - come fanno molte iraniane che non credono nella legge in vigore ma le devono obbedire - le era scivolato per un momento sulle spalle. Comunque da Vladivostok, in Russia, dove sta arbitrando altre partite, la donna ha affermato di essere contraria all'imposizione dell'abbigliamento islamico. In un primo momento, spiega, la Federazione scacchi iraniana le aveva consigliato di scrivere una lettera aperta di scuse in cui avrebbe dovuto difendere l'hijab, ma lei ha rifiutato. Una scelta che l'ha obbligata a rinunciare a rientrare nel suo Paese. "C'è molta gente in prigione in Iran - sottolinea - a causa del velo. È una questione molto seria".
Il caso dell'arbitro donna segue di pochi giorni la defezione di Kimia Alizadeh, campionessa ventunenne di taekwondo medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio del 2016, che ha annunciato il suo addio con un violento attacco alla Repubblica islamica. "Non voglio più sedere al tavolo dell'ipocrisia, delle menzogne, dell'ingiustizia e della piaggeria", aveva affermato Kimia.

Rohani: l’esercito deve scusarsi

Intanto il regime tenta di correre ai ripari, almeno a livello di immagine. "Le forze armate dovrebbero scusarsi con il popolo e rivelare tutto quello che è accaduto con l'aereo ucraino" abbattuto a Teheran. Dopo giorni di proteste per le "bugie" delle autorità iraniane, nuovamente alimentate dal video del New York Times in cui il Boeing 737 della Ukraine International Airlines appare colpito da due missili e non solo uno, il presidente Hassan Rohani parla in diretta tv per cercare di placare la piazza. Un appello "all'unità nazionale" e alla "riconciliazione" che non può prescindere dalla verità. "Esorto le forze armate e lo stato maggiore a spiegare alla gente quello che è accaduto dall'incidente fino al momento in cui è stata annunciata, perché capisca che non si voleva nascondere nulla", ha dichiarato il capo del governo di Teheran, chiedendo che "l'esercito si scusi se c'è stato un ritardo" nella diffusione delle informazioni. Una macchia ammessa dagli stessi militari, mentre l'inchiesta prosegue e Kiev invoca la consegna delle scatole nere per "preservare le prove". "Abbiamo saputo dell'abbattimento accidentale sin dalle prime ore, ma abbiamo ritardato l'annuncio dell'errore umano come causa per non mettere in pericolo la sicurezza nazionale", si è giustificato il comandante delle forze aerospaziali dei Pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, incontrando i familiari di una delle 176 vittime, in maggioranza iraniane.

Il presidente Hassan Rohani in un impianto di ricerca nucleare a Teheran - Ansa


Insieme alla necessità di escludere interferenze straniere, ha spiegato, c'era il timore che si perdesse "fiducia" nel sistema di difesa. Ma le conseguenze delle "bugie di stato" sono state forse ancora peggiori. "Il popolo vuole essere sicuro che le autorità lo trattino con onestà, integrità e fiducia", ha detto ancora Rohani. Che per provare a sanare la ferita ha evocato le elezioni parlamentari del prossimo 21 febbraio, definendole "un primo passo" verso il cambiamento ed esortando pubblicamente il Consiglio dei guardiani, che vaglia la validità delle candidature, a garantire "la varietà".
Da Amnesty International è giunta intanto una condanna a Teheran per aver "represso violentemente" i manifestanti pacifici. Secondo l'ong, le forze di sicurezza hanno usato fucili da caccia ad aria compressa, proiettili di gomma, lacrimogeni e spray urticanti, calci e pugni, causando centinaia di feriti.
Alta resta anche la tensione sull'accordo nucleare, dopo che ieri i partner europei - Francia, Germania e Gran Bretagna - hanno avviato il meccanismo di risoluzione delle dispute per contestare all'Iran le violazioni dell'intesa, tra cui la ripresa dell'arricchimento dell'uranio. "Se fate un passo sbagliato, ne pagherete i costi", ha detto Rohani, avvisando di possibili rischi anche per i soldati europei in Medio Oriente.
"Non abbiamo firmato un 'Obama deal' per arrivare ora a un 'Trump deal'", ha aggiunto il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, definendo la mossa europea un "errore strategico".

Zarif: europei venduti a Trump

Su questo fronte dicvampa anche la polemica dopo le indiscerezioni di stampa che leggono la mossa europea Francia, Germania e Gran Bretagna "hanno venduto i resti del Jcpoa (l'accordo sul nucleare
iraniano, ndr) per evitare i nuovi dazi di Trump. Non funzionerà, amici miei. Non fate altro che stuzzicare il suo appetito. Ricordate il vostro bullo del liceo? Se volete vendere la vostra integrità, fate pure. Ma non pretendete di avere alte ragioni morali o legali. Perché non ne avete". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri dell'Iran, Mohammad Javad Zarif, pubblicando la notizia del Washington Post secondo cui una settimana prima che i tre partner europei dell'intesa del 2015 accusassero formalmente la Repubblica islamica di averla infranta, l'amministrazione Usa aveva minacciato l'imposizione di dazi del 25% sulle auto europee nel caso in cui avessero rifiutato di puntare il dito contro Teheran.