Mondo

ESTERI. Iran senza pace, scontri e arresti Vietato ricordare le vittime del regime

Barbara Uglietti giovedì 30 luglio 2009
Le prime notizie dall’Iran, ieri, raccontavano l’omaggio silenzioso dei leader dell’opposizione alle vittime degli scontri delle scorse settimane. Mir-Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi intendevano raccogliersi in preghiera intorno alle tombe delle persone uccise, nel grande cimitero di Behesht-e-Zahra, sud di Teheran. Con loro, la madre di Neda Agha-Soltan, la ragazza-simbolo della rivolta, di cui ieri ricorreva il quarantesimo giorno dalla morte. Le notizie arrivate poco più tardi parlavano di scontri, cariche, arresti. Proprio lì, intorno alla lapide della ragazza. Il regime, ancora una volta, ha usato il pugno di ferro.Nei giorni scorsi i riformisti avevano annunciato per il pomeriggio un raduno al Grand Mosala, il luogo di preghiera nel centro della capitale. Il governo aveva negato l’autorizzazione, minacciando ritorsioni contro chiunque fosse sceso in piazza. Mussavi e Kharrubi avevano così deciso di recarsi al cimitero: un modo per aggirare i divieti, lasciando intatto il valore simbolico dell’intenzione. Ma neanche questo è passato. La polizia anti-sommossa si è dispiegata intorno alle tombe e quando alcuni giovani riformisti, tra i tanti (circa 500) che si erano radunati all’interno del cimitero, hanno cercato di raggiungerle, sono iniziate le cariche. A Mussavi nemmeno è stato permesso di avvicinarsi. Appena sceso dalla sua auto, si è avviato verso il luogo dov’è sepolta Neda, ma la polizia lo ha circondato e costretto ad andarsene. Lo stesso trattamento è stato riservato a Karrubi. Ma questa volta i giovani hanno cominciato a lanciare pietre contro la polizia. L’ex candidato è riuscito così ad unirsi ai manifestanti. Perché, a quel punto, in una “manifestazione” si era trasformato il gesto di commemorazione. Gli agenti sono intervenuti in massa per sgomberare l’area del cimitero. I riformisti si sono allora spostati verso il centro della capitale, proprio al Grand Mosala. Cinquecento, poi mille, poi più di tremila. L’aria di Teheran, satura di lacrimogeni e di rumore, era la stessa dei giorni di giugno immediatamente successivi alle contestate elezioni che hanno confermato il presidente Mahmud Ahmadinejad. Nelle ultime settimane il movimento di opposizione aveva rinunciato a scendere in piazza: troppe le violenze (una trentina i morti), troppi gli arresti. Ieri tutto è sembrato tornare indietro. Gli scontri sono stati intensi. I manifestanti hanno dato fuoco a gomme e cassonetti. Sono ricominciati i caroselli di auto a clacson spiegato. E sono ricominciate le cariche della polizia. E gli arresti. A finire in manette, anche Jaafar Panahi, vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2000, simbolo della filmografia iraniana in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno definito «particolarmente allarmante» l’intervento delle forze di sicurezza iraniane, che hanno «interrotto con la forza una commemorazione».Se poteva esserci una risposta alle manovre distensive del regime, che l’altro ieri ha rilasciato 140 dei circa 300 riformisti in carcere, promettendo che quasi tutti saranno liberi entro oggi, questa è stata la più significativa: il movimento di rivolta dell’Onda Verde ha smontato l’operazione “cosmetica” con cui il governo stava cercando di guadagnarsi un avvicinamento morbido alla cerimonia di insediamento di Ahmadinejad, lunedì prossimo. I ragazzi di Teheran puntano alle riforme, e vogliono ottenerle. Dopo la cerimonia, il 5 agosto Ahmadinejad giurerà davanti al Parlamento. Ma il decimo presidente della Repubblica islamica non avrà vita facile. L’opposizione ha dimostrato anche ieri di non voler cedere. Soprattutto adesso, con gli occhi del mondo puntati su Teheran e sulle scadenze imposte al regime dall’Amministrazione Usa (che entro settembre si attende una risposta chiara sul discusso piano nucleare): soprattutto adesso, con quella frattura interna alle schiere religiose che si fa ogni giorno più profonda, evidente. E che mina, come mai in passato, la leadership finora indiscussa della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei.Neda, il simbolo della rivolta. Sono passati (ieri, ndr) 40 giorni dalla morte di Neda Agha-Soltan, la giovane uccisa durante la repressione delle manifestazioni post-elettorali a Teheran e diventata, dopo la diffusione delle immagini della sua agonia, il simbolo della protesta contro la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad. Il video della sua agonia e le sue foto sono apparsi su siti Internet, giornali e televisioni di tutto il mondo. Il suo volto non è mai mancato su cartelli e striscioni esibiti in tutte le manifestazioni in Occidente. Neda fu centrata in pieno petto da un proiettile sparato il 20 giugno quando la polizia e i miliziani islamici Basiji intervennero duramente per mettere fine ai raduni nelle strade. La ragazza, di 26 anni, si trovava in una strada del centro. Un medico, poi identificato come Arash Hejazi, cercò di rianimarla, ma inutilmente. «È spirata nelle mie braccia», scrisse lui stesso il giorno dopo al suo amico Paulo Coelho. È stato lo scrittore brasiliano a dire che aveva riconosciuto Hejazi nel filmato, subito diffuso su Facebook e Youtube. Così come è stato lui quello che ha dato la notizia che il medico, che aveva lasciato Teheran temendo rappresaglie, era arrivato a Londra.