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INTERVISTA A KIAN-THIEBAUT. «Il governo attacca perché si sente in trappola»

giovedì 11 febbraio 2010
«In Iran, è in corso un autentico e difficile braccio di ferro che non si deciderà da un giorno all’altro, ma solo col tempo. Dunque, nessuna singola manifestazione sarà risolutiva». A pensarlo è Azadeh Kian-Thiébaut, nota sociologa originaria dell’Iran, Paese a cui ha dedicato numerosi studi. Docente all’Università di Parigi VII, ha anche insegnato negli Stati Uniti. In che clima giunge quest’anniversario?L’estrema tensione è dovuta a una crisi ormai a 360 gradi, al contempo sociale, politica, religiosa. La società è divisa in diversi campi. Molti credono ancora alla validità dei principi rivoluzionari, ma chiedono lo stesso democrazia e pluralismo. Un altro campo, che pare ormai minoritario, giudica i valori della Rivoluzione ben interpretati dai vertici attuali. C’è poi un fronte sempre più radicale che chiede il rovesciamento del regime islamico.  Fino a che punto l’opposizione è compatta?I leader che guidano le proteste, provenienti anch’essi dall’esperienza rivoluzionaria, tentano di cambiare il regime dall’interno. Questi leader hanno un largo sostegno, anche se quest’anniversario sarà un test cruciale. La maggioranza dei contestatori per il momento non chiedono una nuova rivoluzione e non vogliono la violenza. In tal senso, i leader riformisti in campo sono i soli capaci di favorire una transizione senza eccessivi spargimenti di sangue. Ma il fronte verde non è omogeneo, dato che i diversi protagonisti hanno anche obiettivi diversi. Ci sono già state frequenti repressioni. Come interpretarle?Attraverso gli arresti di massa e le esecuzioni, il regime cerca d’intimidire soprattutto i moderati, ovvero i pro-Mussavi, pro-Karrubi e pro-Khatami. Al contempo, il governo di Ahmadinejad ha anche cercato di radicalizzare in tal modo il movimento allo scopo di trovare i pretesti necessari per accrescere ancor più la stretta.È fondato il timore di un anniversario nel sangue?Dipenderà dal numero di manifestanti e dal loro atteggiamento, cioè dalla loro capacità di restare pacifici evitando di fare il primo passo. Di fronte a vaste masse pacifiche, sarà difficile per il regime giustificare ogni spargimento di sangue. Ai contestatori, occorre mostrare la propria forza, indicando che le repressioni non sono riuscite a intimidire gli iraniani.Gli ultimi annunci di Ahmadinejad sul nucleare perseguono scopi interni?Sì, Ahmadinejad cerca di riconquistare il sostegno popolare, ma nella fase attuale mi pare un’impresa impossibile. Credo sia caduto nella trappola che egli stesso aveva cercato di tendere ai riformisti. A questo punto, se cederà sul nucleare, ciò gli varrà un’impopolarità ancora più grande. Se non cederà, il cappio delle sanzioni si stringerà sul Paese e verrà giudicato responsabile della distruzione dell’Iran.C’è però chi pensa che Teheran cerchi il confronto duro col mondo…A mio parere, è troppo tardi per un gioco simile, perché il nucleare non è più un tema capace di aggregare il consenso. Il prezzo economico pagato per la strategia nucleare è troppo elevato. Le stesse statistiche ufficiali dicono che il 20% della popolazione è malnutrita. In proposito c’è ormai chi dice che l’uranio “yellowcake” non si mangia. Oggi, il nucleare mi pare soprattutto un fardello sulle spalle del regime.Come interpreta le ultime azioni contro le ambasciate, in particolare quella italiana?Si tratta di azioni programmate dal governo per far pressione sulle cancellerie occidentali presenti in Iran. Ma questa politica di provocazione e minaccia si è sempre rivelata inutile.