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Intervista a Paul Bhatti. «I terroristi vogliono fermare il Pakistan»

Lucia Capuzzi lunedì 28 marzo 2016
«Siamo increduli e addolorati. Non permetteremo, però, che i terroristi raggiungano il loro obiettivo». Nelle pieghe della violenza omicida del gruppo che, il giorno di Pasqua, ha fatto strage di bimbi a Lahore, si nasconde un messaggio. O, meglio, un fine: «Fermare il processo in atto in Pakistan», afferma Paul Bhatti, presidente dell’All Pakistan Minorities Alliance (Apma), ex ministro per l’Armonia nazionale e fratello di Shahbaz, storico difensore delle minoranze, massacrato dai fondamentalisti il 2 marzo 2011. Negli ultimi anni, il governo pachistano ha avviato una serie di politiche volte ad isolare le componenti estremiste e i partiti politici storicamente vicini a queste ultime. Il punto di svolta – afferma Bhatti – è stato l’attentato alla scuola militare di Peshawar, il 16 dicembre 2014. Nell’attacco, morirono 132 ragazzini, tra i 7 e i 18 anni, tutti figli di esponenti delle Forze armate. Una simile brutalità ha spazzato via qualunque forma di connivenza tra esercito ed estremisti. E ha favorito un’alleanza politico-militare anti-fondamentalisti, provocando una serie di contromisure “forti”. In primis, la ripresa delle esecuzioni dopo sei anni di moratoria. Al di là di questa misura, discutibile, «ci sono stati numerosi passi avanti concreti per eliminare o quantomeno ridurre la discriminazione nei confronti delle minoranze – spiega ad Avvenire Bhatti –. Oltre al potenziamento dei servizi, le autorità hanno intensificato il controllo sulle madrasse (scuole coraniche) affinché trasmettano la fede musulmana e non l’ideologia dei terroristi. Le due cose sono molto diverse e va ribadito: l’islam, come ogni religione, insegna il rispetto per la vita. Gli estremisti stravolgono il Corano per fini di potere». Al contempo, la Corte Suprema ha messo in chiaro il fatto che chi difende gli accusati di blasfemia non è, a sua volta, blasfemo. Poiché le imputazioni sono fatte da altri uomini e, dunque, possono essere infondate: da qui la necessità di un processo, legale non religioso. «Non era mai accaduto prima. Sempre la Corte ha accolto, lo scorso luglio, il ricorso degli avvocati di Asia Bibi. Tale percorso è culminato nella messa a morte di Mumtaz Qadri, il 29 febbraio scorso. Come cristiano, sono contrario alla pena capitale. Dal punto di vista simbolico, tuttavia, la scelta è stata una sfida ai fondamentalisti. Questi ultimi avevano fatto fortissime pressioni per impedire l’esecuzione: Qadri era, nell’ottica fondamentalista, “l’eroe” che aveva ucciso il governatore “infedele” Salman Taseer, “colpevole” di aver espresso solidarietà ad Asia Bibi, la cattolica in cella con la falsa accusa di blasfemia da 2. 471 giorni. Il governo, comunque, non s’è fatto intimidire». Anche l’attacco a Lahore potrebbe essere legato alla vicenda Qadri. «Domenica, scadevano i 30 giorni dall’impiccagione. In 30mila sono scesi in piazza a Islamabad per protestare. I dimostranti hanno cercato di “sfondare” i limiti della “zona rossa”, dove si trovano le sedi delle istituzioni. I militari, però, li hanno sbarrato il passo, dimostrando la volontà di tenere loro testa. Poco dopo, il kamikaze s’è fatto esplodere nel parco di Lahore, colpendo soprattutto i cristiani. Questi ultimi sono stati “scelti” poiché rappresentano il bersaglio più facile», sottolinea Bhatti. «L’intento è chiaro: impiegano la violenza per costringere il governo a scendere a patti con i fondamentalisti. Ma non ci riusciranno». L’attacco ha prodotto un’ulteriore giro di vite anti-terrore da parte dell’esecutivo. «Per la prima volta, inoltre, buona parte dell’opinione pubblica islamica ha preso le distanze dai fondamentalisti. Mi ha colpito soprattutto la solidarietà espressa dal canale tv Express News uno dei più seguiti, e dal giornalista Javaid Chaudary, di fede islamica. È un segnale della volontà dei musulmani di non cedere ai ricatti dei terroristi. Questi ultimi non vogliono solo l’eliminazione delle minoranze. Se si dà loro mano libera porteranno all’autodistruzione del Pakistan».