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Intervista. L’arcivescovo di Nairobi: «Il nostro grido sia ascoltato»

Claudio Monici lunedì 22 dicembre 2014
La gente ha paura. Tutti siamo profondamente preoccupati. Quello che chiediamo alla nostra classe politica è di dare ascolto al grido della popolazione: proteggere il Kenya e i suoi cittadini dalle azioni terroristiche degli islamisti di al-Shabaab. Ma se la politica nazionale prosegue sulla stretta strada del muro contro muro e non avverte l’urgenza di un dialogo aperto e franco, allora si potrà fare ben poco. Sarà la gente semplice a patirne ogni estrema conseguenza. Siamo tutti keniani. Siamo tutti cittadini di questa nazione, e, dunque, dobbiamo pensare di stare più uniti sul fronte della sfida lanciata dal terrorismo».È, con i suoi settant’anni e una mente lucida, un pezzo di storia del Kenya, che proprio in questi giorni ha compiuto i 51 anni di Indipendenza. L’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, originario di Embu, era un giovane seminarista quando in quei difficili anni Sessanta del secolo scorso infiammava la rivolta dei Mau-Mau contro gli inglesi: «Niente di paragonabile a quello che accade oggi». Il cardinale si riferisce ai recenti massacri «diretti contro cristiani innocenti». Solo quest’anno sono già più di 200 i keniani morti per attacchi che rivestono sempre più una «dimensione religiosa». Per prima cosa, punta il dito sulla politica locale, ancora intossicata dal risultato delle elezioni dello scorso anno. Un test che l’opposizione non vuole accettare come fatto conclamato «e che non aiuta a trovare un’azione condivisa da prendere contro il terrorismo». «In sostanza, l’opposizione alza un muro su qualsiasi cosa il governo tenti di fare. Così succede col disegno di legge antiterrorismo – osserva –. E questo, certo, non è incoraggiante per la gente che di questi tempi si aspetta protezione e non litigi. Un detto africano recita: quando due elefanti litigano, chi soffre è il prato. In questo caso è proprio la popolazione del Kenya minacciata. Noi come Chiese cristiane abbiamo cercato di spingere verso il dialogo. Forse qualcosa si sta muovendo». Eminenza, perché questa violenza degli al-shabaab somali contro la popolazione del Kenya?Penso che le loro sono azioni criminali contro la presenza dei militari che il Kenya a inviato in Somalia proprio per contrastare questo terrorismo. Viene facile fare un paragone con quello che accade nel nord della Nigeria...Ancora non è così. Ma non è da escludere che la strada sia la stessa. Un cammino intrapreso, forse, anche da parte di altri gruppi islamici radicali. Perché quello che io vedo, in Kenya, è un islam completamente diverso da quello che ci minaccia dalla Somalia: non mette radici nella violenza.Però è un rischio che non si può escludere del tutto, le conversioni al radicalismo ci sono.Sì, il rischio non lo escludiamo e anche per questo ne discutiamo con i leader musulmani moderati, per capire come mai questo fenomeno si sia sviluppato in maniera così pericolosa. Penso che in un Paese di pace, quando a ogni cittadino è garantita la propria libertà e dignità, allora sono convinto che vivere insieme è più semplice. A volte i problemi sono prettamente più politici, che culturali. Il vero cammino sta nell’accompagnare la società attraverso gli strumenti dell’educazione, la scuola, lo sviluppo per tutti e non risorse solo per alcuni.Che cosa dicono i capi religiosi musulmani?Riusciamo a comunicare con loro. Sanno ascoltare, e sanno denunciare con fermezza e pubblicamente questi fatti criminali. Ma c’è bisogno di uno sforzo più risolutivo da parte loro. Dobbiamo costruire ponti, non fossati. Dal canto nostro, sono sempre state chiare le indicazioni rivolte ai nostri fedeli: evitate di incitare la violenza e l’odio religioso.Eminenza, come vi state preparando al Natale sotto la cupa ombra di questa situazione di pericolo? Natale non può che essere, e deve essere un momento di pace e di gioia. Un momento dove tutti siamo chiamati a sperimentare l’amore di Dio. Ho preparato la nostra gente a celebrare questo momento non come una mera formalità, ma nella spiritualità e nella generosità che Dio ci ha insegnato ad essere. Cioè cristiani, dunque strumenti di pace.