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Intervista. Cuba: «Questo Natale sarà speciale»

Lucia Capuzzi martedì 23 dicembre 2014
Sono le decorazioni a fare la differenza tra i negozi statali e quelli “particulares” (privati). Nelle decine di migliaia di micro-imprese sorte dopo «l’aggiornamento del sistema» promosso da Raúl Castro, spiccano i “nacimientos”, la versione cubana del Presepe. Nelle botteghe pubbliche, invece, gli auguri si fanno per il nuovo anno. Festa che nell’isola coincide con il trionfo della “Revolución”. Del resto per quasi quattro decenni, fino alla visita di Giovanni Paolo II nel 1998, il Natale a Cuba era un giorno lavorativo. «Ora, però, la gente comincia a riappropriarsi delle celebrazioni natalizie», racconta monsignor Dionisio García Ibañez, arcivescovo di Santiago e presidente della Conferenza episcopale cubana. La sera della vigilia, le famiglie sono solite riunirsi e festeggiare insieme. Almeno chi c’è ancora, perché – dicono i cubani – non c’è una tavolata senza una sedia vuota. In 55 anni di Rivoluzione, quasi 2,5 milioni di persone hanno lasciato l’isola. «È normale che l’assenza si noti di più durante le feste. Stavolta, però, sarà un Natale speciale... I presidenti Castro e Obama ci hanno fatto un bel regalo!», afferma il presidente della Conferenza episcopale. La giornata di San Lazzaro, in cui inizia la tradizionale Novena, i due leader hanno annunciato in contemporanea, l’una dall’Avana, l’altro da Washington, la ripresa delle relazioni diplomatiche. «C’è stato un moto spontaneo di entusiasmo nella gente. Tanti mi dicevano: “Don Dionisio, che bel dono di Natale!”, aggiunge l’arcivescovo. Una “strenna” per cui monsignor García Ibañez ha voluto ringraziare papa Francesco, in una lettera in cui ha scritto: «Noi vescovi di Cuba vogliamo manifestarle la nostra più viva gratitudine per la sua opera, che ha ravvivato la speranza dell’inizio di una tappa nel cammino del popolo cubano». Al di là delle implicazioni geopolitiche, che cosa rappresenta la svolta per i cubani?L’aspetto che sta maggiormente a cuore alle persone è la possibile agevolazione dei contatti con i cubani espatriati. La “sedia vuota” a tavola è una delle principali ragioni di dolore per le famiglie... Nonostante lo storico conflitto fra i due governi, mai come ora ci sono stati così tanti connazionali residenti negli Stati Uniti. Quasi tutti hanno un familiare, almeno lontano, emigrato a Miami e dintorni. Il che rende i legami tra i due Paesi inscindibili. I rapporti politici si possono interrompere, quelli economici pure, i sentimenti, però, non si interrompono per legge. I cubani, dell’una e dell’altra parte, sperano che i viaggi, l’invio di rimesse, le comunicazioni in genere siano più fluide. Poi c’è la speranza di un miglioramento della situazione economica...Indubbiamente. È un periodo di crisi. Dovuta alla riunificazione monetaria, che implicherà “aggiustamenti” fiscali e occupazionali. E all’elevata inflazione.Che ruolo ha la Chiesa in un momento storico?La Chiesa accompagna da sempre il popolo cubano. Cercando di stabilire canali di comunicazione, fra le persone e con lo Stato. Papa Francesco e la sua determinazione nell’aprire brecce, anche nei muri più spessi, sono una fonte di ispirazione preziosa. Dobbiamo procedere con ancora maggiore slancio nella costruzione di ponti di dialogo.Crede che sia possibile una riconciliazione fra i cubani?Una storia di 55 anni non si cancella con un colpo di spugna. Abbiamo alle spalle decenni di divisioni, rancori, sofferenze. Il presente è il prodotto di un processo storico. Da cui dobbiamo partire, non per restarvi intrappolati bensì per superarlo. O cercare di farlo. Rispetto la posizione di chi non è d’accordo con la svolta. I presidenti Castro e Obama hanno compiuto un primo passo, dal fortissimo contenuto simbolico. Una telefonata fra i due leader era impensabile fino a qualche settimana fa. Non credo alle “bacchette magiche” bensì al lavoro quotidiano di ogni uomo e donna per fare in ogni circostanza il meglio che può.Che cosa augura ai cubani per questo Natale?Di non perdere mai la speranza. E di tenere lo sguardo fisso in Dio, perché possiamo costruire una società di fratelli.