Mondo

L'intervista. «Noi indigeni combattiamo per la vita di tutta l'umanità»

Lucia Capuzzi giovedì 22 aprile 2021

Sinéia do Vale ha 48 anni

«Non lottiamo solo per la nostra sopravvivenza, ma per quella di tutti. Dipendiamo dalla Terra. La sua morte è la morte del genere umano». È questo il messaggio dei popoli dell’Amazzonia che Sinéia do Vale ha voluto portare – virtualmente – a Washington. Si è collegata dalla sua terra – Raposa do serra do sol –, nel Nord del Brasile, lungo il confine con il Venezuela. Una distesa di 1,7 milioni di ettari ai piedi del monte Roraima – «madre di tutte le acque» – restituita ai 20mila abitanti indigeni nel 2005, dopo 34 anni di lotta. Eppure, ancora, i minatori illegali di oro provano a invadere la riserva, devastando la foresta. E lo stesso presidente Jair Bolsonaro – intervenuto al vertice qualche ora prima – s’è detto più volte favorevole allo sfruttamento economico «dell’improduttiva» Raposa. Delle politiche dell’attuale governo, però, Sinéia, non ha parlato ieri. «Non ho voluto sprecare nemmeno una briciola dei tre minuti concessi per dire ciò che si può leggere in qualunque giornale. Ho preferito dedicarli a far conoscere ai Grandi del pianeta la proposta indigena contro il cambiamento climatico. Un dramma che viviamo sulla nostra pelle anche se non abbiamo contribuito a causarlo», racconta ad Avvenire. Proprio ad elaborare alternative, Sinéia ha dedicato oltre venti dei suoi 48 anni attraverso il coordinamento del dipartimento ambientale del Consiglio indigeno del Roraima. «Nel 2014, abbiamo pubblicato il primo studio al riguardo. Noi indigeni combattiamo il cambiamento climatico tutelando la foresta. Le nostre terre sono quelle meglio conservati. Questo non significa che non vi realizziamo degli interventi. Lo facciamo, ma in modo sostenibile. Ciò è frutto della nostra cosmovisione, attenta alle relazioni tra ambiente e esseri umani», sottolinea l’attivista destinataria dell’invito a sorpresa del governo Usa. «Ho ricevuto un’email dagli organizzatori. All’inizio non avevo nemmeno compreso la portata dell’evento – conclude –. In ogni caso ho detto subito sì: come indigena credo sia un dovere offrire la nostra prospettiva e collaborazione per la difesa della vita. Del pianeta e dell’umanità».