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Kenya. I profughi potranno lavorare: «Non dipenderanno più solo dagli aiuti»

Paolo M. Alfieri mercoledì 21 giugno 2017

Il campo profughi di Dadaab in Kenya

Dopo decenni in cui sono stati semplicemente costretti a dipendere dagli aiuti governativi e dei Paesi donatori, 600mila sfollati che vivono in due campi profughi nel Nord del Kenya stanno per acquisire il diritto a lavorare. Potranno così coltivare la terra per commerciare i loro prodotti e allevare animali: saranno, in una parola, indipendenti. La novità epocale è contenuta nel Refugees Bill, un progetto di legge che ha appena ricevuto il terzo ed ultimo sì dal Parlamento di Nairobi e che ora necessita, per diventare operativo, solo dell’ultimo passaggio, la firma del presidente Uhuru Kenyatta.


“Speriamo che questo provvedimento rappresenti una soluzione duratura ai problemi che gli sfollati devono fronteggiare nel nostro Paese – ha spiegato Agostinho Neto, il deputato che ha provveduto a stilare il testo -. Si tratta di una legge progressista che guarda al futuro e che ci aiuterà a gestire le future popolazioni di rifugiati”.


Attualmente, tutti i rifugiati in Kenya sono costretti a vivere nei campi profughi ed è fatto loro divieto di lavorare, aspetto che riguarda anche coloro che sono giunti nel Paese ormai tre decenni fa in fuga dai conflitti dei Paesi vicini, come la Somalia o il Sud Sudan. Le razioni alimentari per i profughi sono state peraltro ripetutamente tagliate, a causa della riduzione delle donazioni. Così il Kenya ha deciso di unirsi al nuovo approccio seguito da Nazioni Unite e Banca mondiale, che per offrire aiuto a lungo termine ai rifugiati puntano ora maggiormente a farli diventare autosufficienti.

Tende per i profughi nel campo di Dadaab in Kenya - DFID/Pete Lewis


Il Kenya è il quarto Paese al mondo (dopo Pakistan, Iran e Germania) per numero di rifugiati. Attualmente sono quasi 600mila, ospitati in gran parte nei due enormi campi profughi di Dadaab e di Kakuma, campi che il governo ha ripetutamente minacciato di chiudere. Nairobi ha in particolare più volte sostenuto che Dadaab è stato usato dai miliziani islamisti somali di al-Shabaab come territorio di reclutamento per attacchi sul suolo keniano. Dal dicembre 2014 il Kenya ha rimpatriato in Somalia oltre 60mila profughi.

“Alcuni degli elementi chiave della nuova legge includono l’accesso alla terra e ai permessi di lavoro, che rappresentano un grande passo per assicurare l’autonomia e l’integrazione dei rifugiati”, ha sottolineato Imaana Koome, funzionario del Refugee Consortium of Kenya. I permessi di lavoro saranno però accordati soltanto ai profughi che dimostreranno di possedere determinate capacità e non sarà consentito loro di vendere i terreni coltivati.


Negli ultimi tempi è cresciuta la tensione tra la popolazione locale povera che abita vicino ai campi di Dadaab e Kakuma, che spesso soffre per la siccità e la fame, e i rifugiati che ricevono gratuitamente cibo, accesso alle cure e all’istruzione. “Ospedali, scuole e punti di accesso all’acqua messi a disposizione nei campi a uso esclusivo dei rifugiati hanno provocato un senso di esclusione tra le comunità locali - ha fatto paradossalmente notare Neto -. Speriamo che la legge risolva anche questo problema”.
Ai keniani sarà infatti ora consentito di utilizzare i servizi dei campi profughi e saranno messi a disposizione nuovi fondi per far fronte al degrado ambientale provocato dall’indiscriminato taglio degli alberi da parte dei profughi, abituati a usare i rami come legna da ardere.