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REPORTAGE. Malta: «Non aiutiamo chi non vuole fermarsi»

Marco Benedettelli venerdì 3 giugno 2011
Toccato il cemento della banchina, qualcuno si è chinato a terra per baciare il terreno. C’è chi si è fatto il segno della croce con gli occhi rivolti al cielo e ha stretto al petto la propria Bibbia, barcollante per lo sfinimento. Sono sbarcati in settantasei al porto della Valletta. Sessantasei uomini, otto donne e due bambini, dopo cinque giorni di navigazione. Quasi tutti originari dell’ Africa subsahariana. Partiti da Misurata, in Libia, fra le bombe. Giunti stremati e disidratati. Un loro compagno di viaggio ha perso la vita nella traversata. Sedeva sul bordo della nave da pesca che trasportava il gruppo e, ormai debilitato dalla fame, è scivolato in mare dopo il sobbalzo dello scafo provocato da un flutto. Ed è finito a fondo, inghiottito dalle acque. Era da più di una settimana che nei porti di Malta non sbarcavano più migranti. Sette giorni durante i quali l’isola, secondo le accuse del Governo italiano, per due volte le autorità dell’isola si sono «lavate le mani» dinanzi all’avvistamento nelle acque di propria competenza di due pescherecci con a bordo prima 209 e poi 912 profughi. In entrambi i casi la Marina militare maltese si è limitata ad accompagnarli verso le acque italiane invece di farsene direttamente carico. «Malta non soccorre i barconi», ha formalmente protestato Roberto Maroni con l’Unione Europea dopo gli ultimi due sbarchi sulle coste italiane e ha incassato la solidarietà del Commissario Affari Interni della Ue, Cecilia Malmstrom, che in merito ha dichiarato: «Ci congratuliamo con le autorità italiane per il loro intervento in soccorso di vite umane». Dall’inizio della crisi libica sono sbarcati sull’arcipelago maltese 1.530 profughi, in maggioranza sudanesi ed eritrei ma anche africani di altre provenienze. Martedì sera una unità operativa della Nato ha segnalato al centro di coordinamento della Marina di Luqua Baracks la presenza di un natante nelle acque di competenza maltesi. La Armed Forces of Malta (AFM) ha subito fatto decollare un aereo per localizzarlo e ha inviato una nave militare P-52 a soccorrerlo. Il peschereccio è stato intercettato a 75 miglia marine a Sudest di Malta, ormai alla deriva, privo di carburante, con lo scafo che aveva iniziato ad imbarcare acqua. Le persone a bordo sono state fatte salire sul P-52 e portate sulle banchine del porto militare nel Canale di Gozo dove ad accoglierli, oltre alle forze dell’ordine, c’era anche una nutrita schiera di giornalisti.  «Se i passeggeri di un barcone che passa nelle nostre acque dichiarano alla Marina di voler proseguire il loro viaggio, noi non abbiamo il diritto di fermarli e possiamo solo accompagnarli verso il porto più vicino», spiega Darrel Pace, portavoce del Ministero dell’Interno maltese. Il Sar ("search and rescue"), ovvero l’area di ricerca e soccorso competente a Malta, si estende tutt’ora in un’area molto vasta, che quasi lambisce Cipro da una parte e la Tunisia dall’altra. «Capita che un natante avvistato in acque di competenza della Valletta abbia come porto di riferimento più vicino quello della di Lampedusa. Ma se una nave è in difficoltà, allora abbiamo il compito di soccorrerla direttamente. Altrimenti i nostri compiti relativi all’area Sar si limitano solo ad un’azione di  coordinamento dei soccorsi», chiarisce ancora Darrel Pace. I nuovi arrivati hanno raggiunto gli altri profughi nei due Closed Centre di Malta, dove dovranno passare anche 18 mesi di detenzione, il periodo che la legge ritiene necessario per inquadrare lo status di chi arriva da irregolare. Strutture, queste, che si erano svuotate in seguito al blocco degli arrivi nel 2010 e che ora sono tornate a scoppiare di presenze. Mentre nella piccola Malta già stazionano più di 5.000 migranti, arrivati con le ondate migratorie degli anni trascorsi.