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DURBAN 2. Il Vaticano: l’Iran sbaglia, ma noi restiamo a Ginevra

Salvatore Mazza martedì 21 aprile 2009
La Santa Sede guarda alla Conferenza di Ginevra con l’auspicio che «i dele­gati presenti lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza recipro­ca, per mettere fine ad ogni forma di razzi­smo, discriminazione e intolleranza». In tal modo, infatti, si può segnare «un passo fon­damentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giu­stizia per ogni persona e popolo». Così domenica scorsa Benedetto XVI, nei saluti dopo il Regina Coeli, ha espresso i propri «sinceri voti» per il successo della Conferenza Onu 'Durban-2', apertasi ieri tra le polemiche nella città svizzera. Per Pa­pa Ratzinger infatti «si tratta di un’iniziati­va importante perché ancora oggi, nono­stante gli insegnamenti della storia, si regi­strano tali deplorevoli fenomeni». Secondo il Pontefice, a partire dalla Dichiarazione di Durban, sottoscritta nel 2001, «si richie­de un’azione ferma e concreta, a livello na­zionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Occorre, soprattutto, una vasta opera di educazione, che esalti la di­gnità della persona e ne tuteli i diritti fon­damentali». A definire la Conferenza «un’occasione im­portante per portare avanti la lotta contro il razzismo e l’intolleranza» è stato poi ieri il portavoce vaticano padre Federico Lom­bardi, sottolineando che è con quelle «in­tenzioni che «la Santa Sede vi partecipa, e intende sostenere lo sforzo delle istituzio­ni internazionali per fare dei passi avanti in questa direzione». «La grande maggioran­za dei Paesi del mondo – ha aggiunto – vi partecipa e la bozza concordata venerdì scorso è in sé accettabile, essendone stati tolti gli elementi principali che avevano su­scitato obiezioni. Naturalmente interventi come quello del Presidente iraniano non vanno nella giusta direzione, poiché anche se non ha negato l’Olocausto o il diritto al­l’esistenza di Israele, ha avuto espressioni estremiste e inaccettabili. Per questo è im­portante continuare ad affermare con chia­rezza il rispetto della dignità della persona umana contro ogni razzismo e intolleran­za. Ci auguriamo che la Conferenza possa ancora servire a questo scopo» e «questo è certamente il senso dell’impegno della de- legazione della Santa Sede nella continua­zione dei lavori». Una risposta, quella di Lombardi, ad alcu­ne critiche mosse alla presenza del Vatica­no a Ginevra, che per esempio il rabbino ca­po di Roma Riccardo di Segni ha visto co­me «un segnale di difficile comprensione, l’ennesima iniziativa incauta del Pontefi­ce, che si somma alla lista dei precedenti scivoloni nei rapporti con l’ebraismo». Ma, come evidenziato già da monsignor Silva­no Maria Tomasi, osservatore permanen­te all’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, la Santa Sede, dice, «non è legata a nessu­na posizione politica di carattere imme­diato, va direttamente al cuore del proble­ma, che è un problema umano di grande importanza». Per Tomasi l’assenza di alcuni Paesi crea per questo «un po’ di disagio, nel senso che non si capisce bene, dopo che l’ultimo ne­goziato ha eliminato dalla proposta di do­cumento i punti che erano stati sollevati». E cita in particolare «la questione dell’an­tisemitismo: in questo documento viene riaffermato che bisogna combattere ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia». Allo stesso modo «si fa u­na menzione esplicita dell’Olocausto, che non si deve dimenticare, e si fa poi una rifor­mulazione del diritto alla libertà di espres­sione in maniera molto chiara, dicendo che esso deve essere sostenuto e mantenuto». Il presule precisa anche perché non ha la­sciato la sala della Conferenza durante il discorso del presidente iraniano Ahmadi­nejad, nonostante abbia «usato espressio­ni con le quali veramente non si può esse­re d’accordo». Col segretario generale del­l’Onu Ban Ki-moon e si è «pensato di ri­manere – afferma Tomasi –. Se ci fosse sta­to un attacco contro l’esistenza dello Stato d’Israele, o un’affermazione diretta o indi­retta verso la sua eliminazione, oppure e­spressioni che avessero negato il fatto sto­rico dell’olocausto, certo che anche noi a­vremmo preso una decisone diversa». Quanto alla bozza finale, «è chiaro che non è un documento perfetto: ci sono dei pa­ragrafi che col tempo e la pazienza si pos­sono migliorare, ci sono cose storiche che si possono precisare, ma la sostanza è buo­na». Per questo, in riferimento a chi ha de­ciso di boicottare la Conferenza, l’osserva­tore ricorda quanto detto da Ban Ki-moon che, citando Roosevelt, ha affermato che «se si vuole ottenere un cambiamento, bi­sogna essere nell’arena per combattere». «Secondo me – insiste Tomasi – in questa Conferenza si dà un messaggio etico nei confronti delle nuove forme di discrimina­zione. E poi c’è anche una dimensione po­litica che non va sottovalutata: e cioè che messaggio diamo, ai Paesi africani, o alle comunità di immigrati, se non partecipia­no attivamente a sostenere un combatti­mento serio per l’eliminazione di ogni for­ma di razzismo?».