Mondo

Ucraina. Passerà da Lula la «terza via» della pace

Lucia Capuzzi sabato 4 marzo 2023

«Spendiamo trilioni per fare la guerra quando in 900 milioni soffrono la fame». La frase, pronunciata il 15 novembre nell’affollatissimo centro congressi di Sharm el-Sheikh, è passata quasi inosservata. Quel giorno, gli occhi del mondo erano puntati sulla ricetta brasiliana per arginare la crisi climatica, presentata da Inácio Lula da Silva alla Cop27. Allora Lula non era ancora entrato in carica e, per farlo partecipare al vertice, l’Egitto aveva dovuto invitarlo in qualità di ospite. Se l’accoglienza ricevuta è stata quella di un capo di Stato, l’ambizione del leader, tuttavia, è apparsa andare oltre i confini del Gigante latinoamericano. Lula ha voluto presentarsi come voce del Sud globale e catalizzatore delle istanze troppo spesso ignorate dal Nord del pianeta.

Un catalizzatore, però, non ostile alle grandi potenze bensì in grado di far dialogare queste ultime con il resto del mondo. In quest’ottica, la parola «guerra», pronunciata a Sharm el-Sheikh, non ha un significato generico. Lula si riferiva a un dossier specifico: quello ucraino. Fonti ben informate sostengono che la crisi tra Mosca e Kiev sia stato il tema centrale degli incontri a porte chiuse avuti in quei giorni con i rappresentanti di Washington e Pechino.

Già alla Cop27, un mese e mezzo prima di trasferirsi al Planalto, Lula iniziava a tessere la trama di quello che, a partire dal 30 gennaio, ha definito “il club della pace”: un’alleanza di Paesi neutrali rispetto ai due blocchi in cui si va coagulando la geopolitica mondiale e per questo, in grado, di rappresentare un ponte fra questi. Da allora ha iniziato la maratona di incontri al vertice per diffondere l’iniziativa: dalla telefonata con Emmanuel Macron all’incontro a Brasilia con il premier tedesco Olaf Scholz al tour alla Casa Bianca per vedere Joe Biden, fino alla video-chiamata di due giorni fa con Volodomyr Zelensky. Quest’ultimo, tra l’altro, nel recente primo anniversario del conflitto, ha mostrato apertura nei confronti dell’attivismo brasiliano. Segno che Kiev ha archiviato le tensioni per le critiche espresse da Lula in campagna elettorale.

Nel frattempo, il ministro degli Esteri, Mauro Vieira, ha approfittato della Conferenza di Monaco e del G20 di New Delhi per un valzer di bilaterali che includono Blinken e Lavrov. Snodi chiave dello sforzo brasiliano per accreditarsi come interlocutore credibile e imparziale di fronte alle due parti sono stati il rifiuto alla fornitura di munizioni all’Ucraina seguito dal sì in Assemblea generale alla condanna dell’invasione russa. Come sottolinea uno dei massimi esperti di politica lulista, Celso Rocha de Barros, è improbabile che Brasilia proceda con tanto slancio senza alcun placet segreto di Washington e Mosca. A entrambe, impantanate in una morsa bellica sempre più opprimente, l’impegno di Lula – in linea, peraltro, con la storia diplomatica brasiliana di buone relazioni multilaterali globale – fa comodo.

Oltretutto per Washington rappresenta un’alternativa più affidabile rispetto a Turchia, Iran e Cina, sbilanciate a favore di Putin. L’occhio benevolo di Biden è la principale differenza con un intento analogo di mediazione compiuto da Lula nel 2009 fra Teheran e Stati Uniti, silurato dal fuoco amico di questi ultimi. L’esito, dunque, stavolta sarà diverso e il presidente brasiliano diventerà il capofila di un club di mediatori di cui facciano parte, come auspica, anche l’India, l’Indonesia e la stessa Cina? È presto per dirlo. Il Brasile, intanto, lavora freneticamente alla sua realizzazione, in un’ottica di lungo periodo. Prossime tappe, il viaggio a Pechino di Lula di fine marzo e il successivo arrivo a Brasilia di Lavrov.