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Terremoto. Padre Bahjat Karakach: «Almeno ora togliete le sanzioni alla Siria»

Giorgio Paolucci venerdì 10 febbraio 2023

Il centro di assistenza dei francescani a Latakia

Negli occhi di Jamila c’è il terrore e la disperazione di chi non trova un posto dove posare il cuore. L’anno scorso, a 92 anni suonati, era sfollata a Latakia con la famiglia dopo essere scappata da Idlib, dove dettano legge i ribelli di al-Nusra, uno dei gruppi armati jihadisti che combattono contro Assad, responsabili di violenze e vessazioni nei confronti dei cristiani che abitano quella regione.

La notte del terremoto si è precipitata in strada con la famiglia, ma visto che la casa dove vivevano aveva retto alle scosse erano rientrati. Ieri hanno dovuto lasciarla perché è stata dichiarata pericolante e così Jamila ha trovato rifugio nel convento francescano insieme ad altre 200 persone.

È lì che l’ha incontrata Giacomo Pizzi, volontario dell’associazione Pro Terra Sancta che in questi giorni è all’opera nei luoghi dove i francescani sono presenti, ad Aleppo e a Latakia, e dove hanno trovato rifugio 4.000 persone.

«Oltre agli edifici crollati, molti sono stati evacuati perché dichiarati inagibili – racconta – Abbiamo conosciuto situazioni drammatiche come quella di Jamila e di altre persone, che per la seconda volta in poco tempo hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Sfollati a causa della guerra e ora nuovamente sfollati». Come è accaduto a un gruppo di famiglie palestinesi discendenti dei profughi post-1948 che vivevano in un insediamento alla periferia meridionale di Latakia, dove il terremoto ha colpito duramente. Esistenze già precarie, che ora si misurano con nuove fragilità.

«I bisogni sono tanti: cibo, coperte, materassi, farmaci, gli aiuti faticano ad arrivare e le comunicazioni sono spesso interrotte. In alcuni quartieri le tubature sono saltate, esce acqua torbida e imbevibile. Tra le macerie i bambini cercano di recuperare metalli e oggetti che possano essere venduti. E sono evidenti le conseguenze delle sanzioni imposte da anni, che colpiscono il popolo e hanno reso sempre piu difficile l’opera di ricostruzione dopo le devastazioni portate da 12 anni di guerra».

«Dove eravate in questi anni, voi che avreste potuto fare una grande differenza, mentre la nostra gente è arrivata a morire di fame? L’embargo ha inciso molto Se le condizioni generali non fossero state così disperate, oggi ci sarebbero più mezzi per scavare e salvare qualcuno»

Padre Bahjat Karakach, francescano e parroco della chiesa latina di Aleppo, conferma: «La ricostruzione post-bellica non è mai iniziata: tutto è frenato dall’embargo che ci isola dal resto del mondo. Non ci sono investimenti, c’è molta corruzione, la gente continua a emigrare. La politica delle sanzioni non porta a nessuna soluzione».

Ad Aleppo chiese e moschee sono diventate rifugio per migliaia di senzatetto. «Da noi accogliamo cristiani e musulmani, serviamo tre pasti al giorno – racconta il frate –. Nessuno vuole rientrare a casa nel timore di altre scosse e a causa della situazione di pericolo di molte abitazioni».

Ad Aleppo Est l’associazione Pro Terra Sancta gestisce tre centri di accoglienza per orfani o bambini figli di madri stuprate quando la zona era occupata dai ribelli, ci sono vittime che non hanno neppure un nome. «In questi luoghi avevamo un migliaio di bambini che non riescono a ottenere un riconoscimento e non sono mai stati regolarizzati – spiega Bahjat –. Sono nati sotto i bombardamenti e ora alcuni di loro sono morti sotto il terremoto».

Alla denuncia di padre Bahjat sui danni provocati dalle sanzioni si unisce quella dell’italiana suor Marta dal monastero trappista di Azer, ai confini con il Libano.

«Le parole di conforto di tanti che sono vicini alla nostra gente, i gesti di aiuto fanno bene al cuore - dice suor Marta -. Riscaldano, nel freddo che domina in mezzo alle macerie. Ma le parole di cordoglio di tante istituzioni fanno reagire: dove eravate in questi anni, voi che avreste potuto fare una grande differenza, quando giorno dopo giorno la nostra gente è arrivata letteralmente a morire di fame? Certo, non solo le sanzioni hanno portato a questo. Ma anche le sanzioni, e pesantemente».

«Se le condizioni generali della gente non fossero state così disperate, oggi ci sarebbero più mezzi per scavare nelle macerie, e salvare ancora qualcuno. Ci sarebbero ospedali più attrezzati, farmacie fornite del fabbisogno, più case capaci di accogliere i rifugiati, più persone con lavoro e risorse per aiutare i propri fratelli – racconta la religiosa –. Ci voleva tutto questo per far aprire gli occhi sulla tragedia siriana, di cui nessuno parlava più da tempo? I morti li affidiamo a Dio e alla sua Misericordia. Ma i vivi hanno bisogno di una speranza tangibile e concreta che la vita si possa ricostruire. Per favore, alzate la vostra voce perché si tolgano subito le sanzioni. Che almeno la tragedia e la sofferenza di tanti morti che ancora sono sotto le macerie serva ad aiutare la speranza dei vivi».