Mondo

Sudan. Guerre senza tregua. Il mondo un'altra volta non guardi altrove

Fabio Carminati domenica 23 aprile 2023

L’Africa e le sue complessità appaiono banalmente semplici agli occhi degli osservatori abituati a mettere tutto in ordine infilando ogni elemento in scatole etichettate. Insegnano i vecchi analisti che tu puoi cercare di raccontare i fatti dell’Africa con la precisione più assoluta, ma per capirli devi aspettare che la sedimentazione si completi, che con il tempo venga alla luce la reale colorazione della cartina di tornasole. Tradotto in soldoni, significa che se il conflitto in Sudan per molti è in fondo una lotta per mettere le mani sulla risorse petrolifere (questo è stato in fin dei conti anche il motivo dei massacri perpetrati dal dittatore Omar el-Bashir e i suoi tagliagole in Darfur), ben presto vedremo qual è lo scopo finale di tutto questo.

Lo stesso vale per l’altra lettura che si dà, cioè lo scontro di influenze tra Cina e Russia. Basta quindi attendere e vedere i vecchi padroni pagare il fio ai nuovi. Ma purtroppo non è solo questo. E ci sono vite preziose in gioco. Gli inglesi da quasi due secoli l’hanno imparato a loro spese. L’acqua del Nilo e le civiltà che intorno ad esso sono fiorite, danno (volenti o nolenti) l’equilibrio all’intero Continente. Per questo motivo il deflagrare ulteriore di una crisi, che al momento è ancora in parte controllabile, avrebbe un effetto devastante in diversi scacchieri.

Nel Corno d’Africa per primo, ma anche sull’altra sponda del Mar Rosso e verso il nordovest e il Sahel. I tentativi di tregua appaiono sterili, relegati a inviti, ammonimenti e «lunghe telefonate». Mosca e Pechino mal tollererebbero ogni tentativo di ingerenza o di convocazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. (Per quella efficacia che ha ancora, o forse non ha mai avuto).

Gli americani invece girano a vuoto e «avvertono le parti in causa». L’interesse del mondo è concentrato sicuramente altrove, anche perché «quello che succede in Africa lì resta». Eppure il rischio è invece elevato e con il passare delle ore, con il crescere dell’inazione, diventa sempre più incalcolabile. Sono già state proclamate almeno tre se non quattro tregue. Tutte nate da iniziative esterne e tutte naufragate. La regione pullula di uomini delle forze speciali: pronti a caricare i connazionali sugli elicotteri e portarli in territorio sicuro.

Chi è al potere l’ha raggiunto con le armi, con la forza di un ennesimo golpe in cui i colpi di mano non si contano più da tempo, come i morti in questi giorni. Chi vuole scalzare al-Burhan dal potere ha le stesse armi, quelle che i suoi janjaweed brandivano dai cavalli urlando mentre massacravano la popolazione. D’accordo che sono solo le punte di un iceberg, la cui vista della parte sommersa è concessa solo a pochi. Ma a volte per guardare sott’acqua e capire bisogna anche bagnarsi.

Da sapere: i protagonisti del conflitto armato in Sudan

IL COMANDANTE DEI JANJAWEED
Mohamed Hamdan Dagalo “Hemmetti” ha 48 anni ed è il leader dei miliziani delle Forze di supporto rapido (Rsf), accusate di crimini contro l’umanità e crimimini per i massacri degli anni 2000 in Darfur quando ancora si chiamavano «janjaweed» e rispondevano agli ordini del dittatore Omar el-Bashin poi condannato anche dalla Corte penale per i reati sui vcivili ma mai estradato davanti ai giudici del Tribunale penale internazionale dell’Aja, per il processo e per scontare la pena

IL GENERALE GOLPISTA
Abdel Fattah al-Burhan ha compiuto 60 anni restando saldamente abbarbicato al potere dopo l’ennesimo golpe della travagliata storia del Paese sul Nilo.
Generale dell’esercito, è il principale fautore della serie di golpe culminati con la caduta del dittatore Omar el-Bashir. Come capo del Governo militare di transizione, è molto vicino all’Egitto e all’Arabia Saudita , Paesi che ormai risultano coinvolti a tutti gli effetti nel conflitto anche se ufficialmente hanno presenti truppe solo per «precedenti esercitazioni militari»

L’esodo della popolazione per sfuggire alle violenze

20mila
i civili sudanesi che nei primi tre giorni di scontri armati hanno sconfinato nel Ciad per trovare rifugio

90mila
i miliziani delle Forze di supporto rapido (Fsr): i paramilitari hanno compiuto stragi in Darfur e nello Yemen

100mila
i soldati dell’Esercito regolare sudanese (Saf) che durante il regime di Bashir ha garantito la dittatura