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Afghanistan. Biblioteche e cinema su bus. C'è speranza per i ragazzi di Kabul

Francesca Ghirardelli domenica 21 giugno 2020

La giovane attivista con un gruppo di studenti

Non ha ancora compiuto trent’anni Freshta Karim, sofisticata e brillante attivista afghana, eppure ha già le idee chiare su cosa possa essere utile al suo Paese, dopo quasi due decenni di guerra e alla vigilia di complicati colloqui di pace. Una carriera di conduttrice di trasmissioni radio e tv per ragazzi quand’era ancora adolescente, poi un master in politiche pubbliche a Oxford, nel Regno Unito, alla fine è tornata a Kabul e si è messa al lavoro. I risultati sono arrivati, e non solo perché Forbes l’ha inserita fra i «30 leader under 30» dell’imprenditoria sociale del mondo. Freshta sta raccogliendo successi fra i suoi concittadini più giovani che, a migliaia, partecipano al progetto che ha lanciato: due biblioteche mobili, allestite a bordo di due autobus, e una sala cinema su un terzo mezzo, in giro per le strade di Kabul. «Sono state già 140.000 le visite registrate, per noi è un grande risultato. Non appena la situazione sanitaria causata dal coronavirus migliorerà aggiungeremo altri bus», racconta.

Per gestire le biblioteche e il cinema ha fondato l’organizzazione no profit «Charmaghz » (parola dal doppio significato di «noce » e «quattro cervelli»). Lo ha fatto insieme a un gruppo di ragazzi – una quindicina, per la maggioranza donne – che conoscono bene la guerra per esperienza diretta e sanno quale impatto abbia su un’infanzia che, come per milioni di altri bambini afghani, è andata perduta prima ancora che potessimo viverla. Il dolore ci riunisce per fare la differenza». A bordo dei bus viaggiano un bibliotecario e il suo assistente, più l’autista che conduce il mezzo in scuole e diverse comunità della capitale. «Proponiamo libri, sessioni di letture di gruppo, giochi, momenti di riflessione. I bambini possono leggere, porre domande, giocare. È un luogo che li aiuta a diventare individui dalla mente aperta e questo porterà innovazione e sviluppo al Paese nel suo complesso. Abbiamo firmato un accordo con il ministero dell’Istruzione per raggiungere le scuole sprovviste di biblioteca. Il bus sosta per due ore poi si muove verso una nuova destinazione».

Con il team di «Charmaghz» lo scorso anno Freshta ha vissuto quello che definisce qualcosa di rivoluzionario: ha parlato dei suoi bus all’interno di una moschea in pieno Ramadan. «Abbiamo svolto una riunione pubblica prima dell’Iftar: è intervenuto il leader della moschea, poi ho parlato io. Alla fine abbiamo rotto il digiuno tutti insieme. È stato importante perché di solito la moschea è un luogo dominato dagli uomini. In quella comunità abbiamo lavorato con un alto numero di bambini».

La questione dei diritti delle donne resta delicatissima in Afghanistan, soprattutto in questa fase politica decisiva in cui l’imminente uscita di scena delle forze Usa e l’auspicato dialogo con i taleban suscitano in molti il timore di un passo indietro per i diritti delle afghane. «Sappiamo che uno dei problemi fondamentali dei taleban riguarda la libertà delle donne. Sappiamo che cercheranno di limitarla. Non possiamo permettere che lo facciano. Dobbiamo far parte del processo decisionale, nessuno ci rappresenta meglio di noi stesse», ha twittato Freshta qualche giorno fa, nel mezzo del dibattito su chi debba partecipare al processo di pace. Ad aprire la strada (tutta in salita) per un dialogo interno al paese è stato l’accordo tra Usa e taleban di febbraio. Nei patti c’era la promessa di un calo della violenza, ma di «preoccupante aumento» ha invece parlato di recente l’Onu. «La riduzione della violenza non è ancora significativa. I negoziati devono iniziare prima possibile, ma a fronte di un cessate il fuoco totale: non è possibile far morire la gente solo per guadagnare terreno e potere nei negoziati», dice Freshta.

Anche per questo resta forte il desiderio di lasciare il Paese fra gli afghani, che da tempo rappresentano il gruppo nazionale più numeroso tra i richiedenti asilo in arrivo in Europa (il 15% del totale): «Malgrado non sia ben accolta in Occidente, la popolazione afghana ha il diritto di cercare rifugio altrove. Gli attacchi e le stragi contribuiscono a spingerla ad andare via. Non si tratta solo di sicurezza fisica, ma anche mentale: non si sa quando, se e come i taleban potranno arrivare, resta il dubbio di cosa accadrà se torneranno. Personalmente, resto qui e faccio quello che posso per ricostruire il Paese»..

Freshta lo fa partendo dai bambini che «senza poter afferrare il senso di attacchi, esplosioni e morti, rimangono naturalmente positivi verso la vita e il futuro. Quando sui nostri bus chiediamo cosa vogliono fare da grandi, tutti hanno sempre pronta la loro risposta».