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Ucraina. L'orrore di Bucha, ecco i testimoni di uccisioni e stupri

Nello Scavo inviato a Odessa martedì 5 aprile 2022

I corpi di 300 persone uccise a Bucha sono stati sepolti in una fossa comune perché non c’era più posto nei cimiteri della città. Il sindaco Anatoly Fedoruk ha detto che «sono stati tutti uccisi con colpi d’arma da fuoco alla nuca»

La parata di efferatezze, le uccisioni sommarie, i supplizi inferti per ore e per giorni. Non c’è solo Bucha. Una ritirata con disonore. La vendetta esibita per mostrare la rappresaglia e intimidire la popolazione. I report preliminari, le deposizioni dei superstiti, i riscontri alle testimonianze non raccontano un solo istante di pietà.

Per ricostruire l’esatta sequenza dei fatti a Bucha ci vorrà del tempo. Ma i segni sui corpi non sono, come qualcuno vaneggia, gli effetti speciali di una guerra virtuale. L’uomo abbattuto mentre cercava riparo fuggendo in bicicletta. Il residente picchiato, freddato e infine gettato dentro a un tombino. Le donne, spogliate, molestate, stuprate, infine bruciate come streghe che non volevano cedere ai capricci dell’invasore. Altre lasciate vivere, ma con profondi sfregi al volto e sul corpo, incisi durante lo stupro. C'era anche di una stanza delle torture, allestita dai russi in un sanatorio per bambini, in disuso: nel seminterrato, riferiscono le autorità di Kiev, sono stati trovati i cadaveri di un gruppo di uomini. Le foto dei corpi legati mani e piedi, ranicchiati e con segni di percosse lo confermano.

È un punto di non ritorno. Un’altra linea rossa sfondata a colpi di crimini. Mosca nega, parla di messa in scena, come di un set Hollywoodiano apparecchiato per creare un caso. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto alle forze russe definendole «assassini», «torturatori», «stupratori» e «macellai».

Camminando per le strade del villaggio fantasma ha promesso di indagare e perseguire tutti i «crimini » russi in Ucraina: «Meritano solo la morte dopo quello che hanno fatto». E non sono parole che serviranno ad affrontare con speranza le prossime ore. «Voglio che ogni madre di ogni soldato russo – ha scandito Zelensky – veda i corpi delle persone uccise a Bucha, a Irpin, a Hostomel». Poi si è rivolto alla catena di comando, dal Cremlino allo Stato maggiore: «Voglio che vedano come vengono eseguiti i loro ordini». Per Mosca è un colpo mortale nella sua già decrepita immagine internazionale. E davanti ai massacri anche le accuse per le violazioni commesse dai soldati di Kiev adesso cadono in secondo piano. «Questo – ha concluso Zelensky – è il modo in cui ora sarà percepito lo Stato russo».

L’Onu conferma, e in una nota di Osnat Lubrani «a nome delle Nazioni Unite», il Coordinatore umanitario in Ucraina ha chiesto che «chiunque sia stato coinvolto in violenze contro i civili deve rispondere ai diritti umani internazionali e al diritto umanitario». I primi rapporti indipendenti visionati da Avvenire tolgono il sonno. E non riguardano solo Bucha. Le accuse vanno dallo stupro ripetuto alle esecuzioni sommarie, saccheggio e violenza contro civili disarmati. I testimoni verificati sono già dieci, alcuni anche nella veste di vittima di reato di guerra. Human rights watch è pronta ad accompagnarli davanti la Corte penale internazionale. Qualcuno ha chiesto di non essere citato, ma sono disponibili a testimoniare davanti alla giustizia internazionale, che fin dai primi giorni di conflitto aveva aperto un’inchiesta e inviato investigatori a Kiev.

Uno dei superstiti di Bucha ha raccontato che i soldati hanno costretto cinque uomini a inginocchiarsi sul ciglio della strada, poi hanno sparato a uno di loro. «Mi è caduto addosso », ha detto il sopravvissuto. Il cadavere di un altro uomo è stato trovato in un tombino, mentre altre vittime sono state scoperte lungo il percorso d’uscita dalla città. Alcuni erano stati legati con degli stracci e trucidati, altri sono stati freddati mentre andavano in bicicletta. La sorte peggiore, come in ogni guerra, è toccata alle donne. Due sono state trovate sul ciglio della carreggiata, denudate e date alle fiamme.

Da ieri “il siberiano” non risponde al telefono. Il tenente colonnello russo Omurbekov Azatbek Asanbekovich ha staccato la linea. Sparito dai social dove mostrava il suo giovane volto di ambizioso e impavido soldato. Gli attivisti di “InformNapalm” hanno divulgato anche l’indirizzo di casa. Lo cercano i giornalisti e anche gli investigatori della giustizia internazionale stanno raccogliendo dettagli sul suo conto. È lui il comandante dell’unità 51460, il battaglione partito da Knyaze-Volkonskoye, nell’estrema Russia orientale, con la 64ma brigata di fucilieri motorizzati. Per una settimana hanno guerreggiato per le strade, tra i fienili, sacchggiando Bucha e terrorizzando la popolazione. Poi, umiliati dalla difesa ucraina, costretti a ripiegare, non se ne sono andati con le mani in tasca.

Un sessantenne ha confidato di sentirsi miracolato. Il 4 marzo, un soldato russo ha minacciato di trucidarlo con il figlio dopo aver perquisito la loro casa a Zabuchchya, un villaggio a nord-ovest di Kiev, e trovato un fucile da caccia e benzina nel cortile. Ma quando il militare stava caricando l’arma un commilitone è intervenuto convincendolo a lasciar perdere. La ricostruzione è stata confermata dalla figlia, con tutti i dettagli, nel corso di una intervista separata. Nel villaggio di Vorzel, 50 chilometri a nord-ovest di Kiev, il 6 marzo, i soldati russi hanno lanciato una granata fumogena in uno scantinato dove si erano nascosti alcuni residenti. Una tecnica affinata nelle catacombe siriane. Quando i civili sono usciti all'estero per sfuggire al gas, li attendeva il plotone d’esecuzione. Un uomo che si era rifugiato nello stesso scantinato ed è riuscito a nascondersi sfuggendo ai colpi, ha spiegato che una donna è morta dopo due giorni di agonia, mentre il figlio di 14 anni è stato trucidato all'istante.

La raccolta e la verifica delle testimonianze è avvenuta in particolare grazie al lavoro sul campo di Human rights watch (Hrw). A dimostrazione della sua imparzialità, Hrw il 31 marzo aveva denunciato le presunte violazioni commesse dai militari ucraini contro i prigionieri russi, chiedendo a Kiev l’apertura di una inchiesta.

Davanti ai giudici vuole andare una donna di 31 anni, madre di una bambina. È decisa a puntare il dito contro il suo aguzzino. Il 14 marzo è riuscita a raggiungere un posto di soccorso a Karkhiv. Si era presentata con il viso sfregiato da diversi tagli. Le fotografie ricevute dal team di investigatori di Hrw e le testimonianze dei medici confermano la versione della giovane, scappata dalla prigionia in una scuola. Ha raccontato che un soldato russo l’aveva catturata e violentata ripetutamente. Il militare con un grosso coltello ha ferito la ragazza anche al collo, le ha tagliato i capelli e deturpato il volto. Mentre abusava di lei sparava colpi in aria con il fucile: «Diceva che lo faceva per motivarmi».