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Usa. Impeachment a Trump? I due «percorsi» per la destituzione

Elena Molinari giovedì 18 maggio 2017

Sono due gli iter previsti dalla Costituzione per destituire il presidente degli Stati Uniti. L’«impeachment» (o «messa in stato di accusa») consente di rimuovere i membri del potere esecutivo, dal presidente al vice-presidente sino ai funzionari delle Amministrazioni statali e ai giudici federali. È promosso dalla Camera dei rappresentanti che indica a maggioranza semplice i capi d’accusa. La sentenza spetta al Senato con voto a maggioranza dei due terzi.

Gli estremi per l’impeachment sono l’alto tradimento, la corruzione o altri crimini come l’ostruzione della giustizia. La loro definizione è però aperta all’interpretazione dei parlamentari. Negli Usa l’impeachment è stato usato prevalentemente per rimuovere membri del potere giudiziario.

I casi di Clinton, Nixon e Johnson

Solo due presidenti vi sono stati sottoposti ed entrambi sono stati assolti: il repubblicano Andrew Johnson nel 1868 si salvò per un solo voto dall’accusa di abuso di poteri (aveva nominato il segretario alla Guerra senza consultare il Senato), e il democratico Bill Clinton nel 1998 fu prosciolto dall’incriminazione di aver mentito sulla sua relazione con Monica Lewinsky e di aver ostacolato la giustizia affinché non emergesse la verità sulla tresca. Richard Nixon invece si dimise nel 1974, evitando un sicuro impeachment per ostruzione alla giustizia nel caso Watergate.

Vi è poi il 25esimo emendamento della Costituzione che consente di rimuovere il presidente se il suo vice-presidente e la maggioranza del suo governo sostengono per iscritto che il presidente non è in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio. In tal caso gli subentra il vicepresidente. Se il presidente si oppone, a decidere è la Camera, con i due terzi dei voti.