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«I cristiani testimoni a Erbil della fede vissuta nella carne»

GIANNI CARDINALE mercoledì 6 aprile 2016
ROMA «Siamo tornati appesantiti da un senso di angoscia e di impotenza di fronte ad una situazione estremamente dolorosa, ma anche allietati da piccoli segni di speranza che pure, grazie a Dio, esistono». Monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi con un passato da officiale nella sezione affari esteri della segreteria di Stato vaticana, è appena tornato da un viaggio ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove ha trovato alloggio una parte consistente dei 120mila cristiani fuggiti da Mosul e dai villaggi della Piana di Ninive nel 2014 a causa delle milizie del sedicente Califfato islamico (Daesh). Un viaggio promosso dall’Aiuto alla Chiesa che soffre, l’organismo ecclesiale che da subito si è mosso per sostenere questi fratelli nella fede, che, come ha scritto papa Francesco in una accorata lettera affidata al presule emiliano «che sono stati costretti ad abbandonare le proprie città, case, proprietà, radici storiche e culturali per non rinunciare alla loro appartenenza a Cristo». Con monsignor Cavina si sono recati ad Erbil il vescovo di Ventimiglia-San Remo, Antonio Suetta, il direttore di Acs-Italia Alessandro Monteduro e un rappresentante dell’arcidiocesi di Bologna, don Massimo Fabbri. La missione è durata quattro giorni, dal 1° al 4 aprile. «Tutti quelli che abbiamo incontrato – racconta ad Avvenire il vescovo di Carpi – ci hanno ringraziato perché – hanno detto – la nostra non è stata una “visita-spot” ma siamo andati a toccare con mano le loro sofferenze». «L’unico desiderio della stragrande maggioranza delle persone che abbiamo incontrato è quello di ritornare a casa», subito sottolinea monsignor Cavina. E questo desiderio è talmente radicato «da rifiutare sistemazioni migliori col timore che questo possa essere interpretato come una rinuncia all’agognato rientro nelle proprie abitazioni». Il vescovo di Carpi riferisce di un panorama umanamente desolante, fatto di container di 12 metri quadrati abitati da nuclei familiari di 7/8 persone, di strade perennemente polverose, di servizi igienici comuni, di acqua fortemente razionata, di energia elettrica che va e che viene, di un clima continentale impietoso, freddo d’inverno e torrido d’estate. Un panorama fatto di «volti tristi, soprattutto tra i bambini», e di storie «strazianti». Come quella di una donna con due figli di Mosul. «All’arrivo dei miliziani Daesh – racconta Cavina – hanno chiesto al marito di questa donna: “O ci lasci tua moglie e le figlie, o rimani qui tu”. Questo padre di famiglia ha scelto di immolarsi, e di lui non si sa più nulla. La donna l’hanno lasciata andare ma prima gli hanno letteralmente lanciato per aria la figlia più piccola che ha avuto un forte trauma cranico da cui non si è più ripresa ». Un panorama, quello raccontato dal presule italiano, in cui però non mancano «segni di speranza». Come le “chiese di fortuna” allestite per «tenere viva la loro identità», testimonianza «commovente di una fede vissuta». C’è poi la «lodevole attività delle suore», come «le piccole sorelle di Charles de Foucauld fuggite da Mosul che hanno voluto condividere la vita con gli ultimi, nei container». O come le suore domenicane di santa Caterina da Siena che prestano un «servizio molto bello a favore dei bambini, allestendo luoghi dignitosi dove possono studiare e giocare ». Non manca poi, «altro segno di speranza », un gruppo di donne che si sono riunite per lavorare insieme. «E la loro non è una iniziativa meramente occupazionale, ma qualcosa di più», sottolinea Cavina. «Hanno cominciato – prosegue – con il riciclaggio di plastica e cartone e ora si sono industriate a produrre dei mosaici. Ce ne hanno affidato uno molto bello da consegnare al Santo Padre come segno di gratitudine per le parole, i gesti e la cospicua offerta che ha destinato ai profughi». Papa Francesco ha infatti affidato a monsignor Cavina centomila euro. «Ai vescovi incontrati abbiamo chiesto che vengano presentati dei progetti concreti – spiega il presule – sarà poi l’Acs, a cui la somma è stata affidata, a curare la distribuzione dei contributi». Oltre all’arcivescovo caldeo di Erbil, Bashar Warda, e al vescovo siro-cattolico di Mosul, Petros Mouche, la delegazione Acs ha incontrato anche il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako. «L’incontro con il Patriarca – racconta Cavina – è stato molto interessante. Lui ha sottolineato che quello di cui più hanno bisogno i cristiani non sono tanto i soldi, pur utili, ma la visibile vicinanza dei loro fratelli nella fede europei. “Così – ci ha tenuto ha specificare Sua Beatitudine – i profughi musulmani, che sono molto aiutati dai propri correligionari, vedono che c’è qualcuno in Occidente che si interessa dei cristiani”». © RIPRODUZIONE RISERVATA Missione in Iraq Il vescovo Francesco Cavina a Erbil