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Le sfide . I cinque nodi in agenda che già attendono il vincitore

Giorgio Ferrari mercoledì 18 marzo 2015
Il leader premiato dal voto avrà decisamente poco tempo per festeggiare la vittoria. Questione di una notte di baldoria e di un pallottoliere sul quale esercitarsi a creare una maggioranza che duri più dello spazio di un mattino. I problemi veri cominceranno subito e l’agenda del vincitore ne è colma. Eccoli. 1 - LA QUESTIONE PALESTINESE. Tenuto sotto traccia per tutta la campagna elettorale, lo stato delle relazioni fra Gerusalemme e l’Autorità nazionale palestinese è destinato a riesplodere ad aprile, quando l’Anp solleverà alla Corte penale internazionale dell’Aja la questione di crimini di guerra che imputa ad Israele. Non solo Netanyahu, ma lo stesso Herzog e Livni lanciano l’allarme: «Dovremo subito impegnarci per impedire che i nostri militari siano trascinati di fronte a una corte di giustizia». Il leader laburista in proposito è stato vago: «Dobbiamo essere creativi e assumere iniziative per sbloccare il negoziato con i palestinesi ». Un proclama di intenti più che la rinascita della Road map. Anche perché sullo sfondo ci sono due nodi completamente irrisolti: gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e il diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948. 2 - IL NODO DELLA SICUREZZA. Cavallo di battaglia di Netanyahu, rischia di essere compromesso dall’annuncio dell’Olp di cessare ogni collaborazione con il governo israeliano. Non solo: il congelamento di fondi predisposto da Netanyahu nei confronti della Cisgiordania rischia di destabilizzare a tal punto i Territori da innescare una nuova Intifada: non propriamente un esordio promettente per il nuovo governo. Ma soprattutto è il terrorismo ai confini la vera emergenza: gruppi armati islamici, in parte legati all’Iran e in parte ai Fratelli Musulmani, potrebbero approfittare di avvicendamenti di potere nello Stato ebraico per lanciare attacchi, nel Sinai come a Gaza, nel sud Libano come sul Golan. 3 - IL DOSSIER IRANIANO. Sia Netanyahu sia Herzog concordano sul fatto che quella iraniana sia una «minaccia esistenziale». All’inizio del mese Netanyahu è andato al Congresso di Washington nella convinzione che il blocco repubblicano rappresenti ormai l’ultimo baluardo per impedire un accordo fra le potenze del 5+1 e Teheran sul nucleare iraniano. La differenza fra i due leader è la fiducia nell’amministrazione Obama: Netanyahu non ne ha nessuna, Herzog un po’ di più, ma non è un mistero che punti a strappare alla Casa Bianca l’assenso preventivo a un blitz di Israele nel caso l’Iran disattendesse agli impegni e si avvicinasse troppo all’allestimento di un vero arsenale nucleare. 4 - GLI STRAPPI CON USA E UE. Non solo occorrerà ricucire lo strappo con gli Stati Uniti, ma anche il gelo con l’Unione Europea e la diffidenza pressoché planetaria della comunità internazionale. L’ipotesi di sanzioni economiche nei confronti di Israele a causa della politica adottata nei Territori e il continuo espandersi degli insediamenti è tutt’altro che remota. 5 - LA QUESTIONE SOCIALE. Il carovita, la sanità, la disoccupazione e l’edilizia popolare hanno dominato la campagna elettorale, ma ora è tempo di mettere in cantiere profonde riforme nella spesa pubblica: si parla di un piano di lotta alle diseguaglianze che impegnerebbe il 40 per cento del Pil distogliendo gran parte dei fondi pubblici dalle colonie.