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DOCUMENTO COMUNE. I capi di 61 tribù: «Tutti uniti per la cacciata di Gheddafi»

Barbara Uglietti giovedì 28 aprile 2011
Una pagina fitta di testo. E poi altre 13, prese da un blocco a righe, piene di firme: 61, ognuna accanto a un numero progressivo scritto a mano e cerchiato. È questo il documento redatto a Bengasi il 12 aprile dalle tribù libiche che è stato scannerizzato e pubblicato ieri sul sito La Regle du Jeu di Bernard-Henri Levy (lo scrittore francese è da tempo impegnato nella causa libica e si è fatto portavoce dei ribelli). Il documento contiene l’appello di 61 tribù affinché Muammar Gheddafi lasci il potere. «Di fronte alle minacce che gravano sull’unità del Paese e di fronte alle manovre e alla propaganda del dittatore e delle sua famiglia – scrivono i capi clan –, proclamiamo solennemente: nessuno ci dividerà».È solo una dichiarazione di intenti. E per quanto le tribù spieghino di «condividere gli stessi ideali di una Libia libera, democratica e unita», non c’è niente di più diviso, riottoso e instabile dei clan libici, frammentati anche al loro stesso interno in mille fazioni rivali. Il documento rappresenta comunque un tentativo di imprimere una svolta allo stallo nella crisi, ed è certamente il segnale più tangibile di una stanchezza nei confronti del regime che sta contagiano tutto il Paese, comprese le tribù che ne hanno costituito per anni la spina dorsale (soprattutto riempiendo le fila dell’esercito). È stato il voltafaccia di alcuni clan del Sud del Paese, due mesi fa, a dare slancio alla rivolta nel Paese. Ed è il voltafaccia delle tribù dell’Ovest (tradizionalmente vicine a Gheddafi, al contrario di quelle dell’Est, che lo osteggiano e che sono perlopiù passate con gli insorti) a spaventare il governo. E il timore è nelle righe di una lunga intervista che Aisha Gheddafi, la figlia 36enne del Colonnello, ha avuto a Tripoli con il New York Times. Aisha ha infatti sottolineato che, senza suo padre, nel Paese sarà il caos: le tribù si combatteranno una contro l’altra, minando ogni equilibrio; gli immigrati illegali invaderanno l’Europa; i radicali islamici stabiliranno una base nei punti strategici del Mediterraneo. Meglio che Gheddafi resti al suo posto, sostiene dunque Aisha. Che per il resto ha, nell’ordine, paragonato l’intervento della Coalizione Nato all’invasione Usa in Iraq; criticato pesantemente i leader americani, Obama in testa («non ha saputo ottenere nulla»); definito i ribelli di Bengasi dei «terroristi» che hanno «tradito» suo padre (anche se, ha confessato, «alcuni rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) di Bengasi sono ancora in contatto con noi»); e infine proposto di «sedersi tutti intorno al tavolo, sotto l’egida delle organizzazioni internazionali», per avviare il «dialogo». Anche se non si capisce con chi visto che ha categoricamente escluso ogni contatto con la controparte, ossia i ribelli.Tutto questo mentre, sul piano militare, non si registrano progressi. In Cirenaica è stallo totale. In Tripolitania si continua invece a combattere a Misurata. Anche ieri i lealisti hanno bombardato il porto con missili Grad. Secondo gli insorti, il rais è determinato a «distruggerlo ad ogni costo». In un momento di relativa calma, comunque, è riuscita ad attraccare una nave noleggiata dall’Oim (Organizzazione internazionale dei migranti), che ha consegnato dieci container di aiuti umanitari e due ambulanze per la popolazione. Con la stessa nave, sono stati evacuati centinaia di rifugiati che da giorni attendono al porto.