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Gli articoli della Carta che feriscono Tahrir

giovedì 6 dicembre 2012
DI FEDERICA ZOJA M entre continua la mobilita­zione delle opposizioni egi­ziane – laica, liberale, di sini­stra, cristiana, dei movimenti giovani­li o semplicemente civica – alla svolta autoritaria del presidente Mohammed Morsi, si avvicina il giorno della con­sultazione costituzionale: il 15 dicem­bre gli egiziani saranno chiamati a ra­tificare una bozza approvata (il 29 no­vembre) dai soli deputati islamisti, sa­lafiti e (presunti) moderati. Un testo di cui a più riprese si è sottolineato l’inci­pit, ma non il cuore. Ormai è cosa nota: l’articolo 2, peral­tro senza soluzione di continuità ri­spetto alla precedente carta costitu­zionale, detta: «I principi della sharia (cioè, della legge islamica, ndr) sono la principale fonte della legislazione». E ancora, l’articolo 4 ribadisce che, in materia di legge islamica, può essere sollecitato il parere del grande imam di al-Azhar, moschea universitaria del Cairo che è il punto di riferimento del­l’intero mondo sunnita. C’è dell’altro, come sottolineano gli at­tivisti egiziani, cristiani e musulmani, convinti che il testo non tuteli i diritti umani fondamentali. Al loro allarme si aggiunge quello delle maggiori orga­nizzazioni internazionali, come Am­nesty e Human rights watch in testa. Ecco alcuni articoli incriminati: l’art. 33 stabilisce che i cittadini «sono uguali nei diritti e nei doveri pubblici e non sa­ranno discriminati». Nell’ultima ver­sione della Costituzione, tuttavia, dal­la lista delle cause di discriminazione sono stati rimossi il sesso, l’origine e la religione. Non sono previste tutele spe­cifiche per migranti, richiedenti asilo né rifugiati. Come dire, solo per citare un caso, che per centinaia di migliaia di sudanesi scappati dalle violenze del­la loro terra e ammassati nelle perife­rie del Cairo, in attesa dello status di esseri umani, l’inferno continuerà an­che nell’era di Morsi. Quanto all’arti­colo 219, che integra il numero 2 e de­finisce i principi della sharia «regole fondamentali della giurisprudenza», l’applicazione rende possibile discri­minare le donne in materia di matri­monio, divorzio e vita familiare. Inoltre, benché l’art. 36 proibisca la tor­tura e gli altri maltrattamenti e l’uso nei processi di «confessioni» estorte con la tortura, non c’è divieto esplicito di uti­lizzare le punizioni corporali. L’art. 198, invece, prevede, forse a seguito delle pressioni dei rappresentanti delle for­ze armate nella Commissione costi­tuente, processi di imputati civili da parte dei tribunali militari, come sotto la legislazione d’emergenza applicata sotto il regime di Hosni Mubarak. L’art. 45 garantisce la libertà d’espressione, ma l’art. 44 proibisce «l’insulto o l’a­buso di tutti i messaggeri e i profeti». L’art. 67, pur menzionando il diritto al­l’alloggio adeguato, non proibisce e­splicitamente gli sgomberi forzati dei cittadini (almeno 12 milioni di egizia­ni vivono in abitazioni precarie e abu­sive ai margini dei centri urbani). Infi­ne, la Costituzione non stabilisce che un minore sia una persona che ha me­no di 18 anni e non protegge i minori dai matrimoni precoci. C’è di più, l’art. 70 non vieta del tutto il lavoro minorile, una delle richieste del­la rivoluzione del 25 gennaio. Quanto ai rapporti con la comunità interna­zionale, la nuova Costituzione non ri­conosce la supremazia del diritto in­ternazionale sulle norme interne e non chiarisce come l’Egitto potrà rispetta­re gli impegni contenuti nei trattati di cui è firmatario. Davvero troppi silen­zi e troppe omissioni per quei milioni di egiziani che credono ancora nella Primavera. © RIPRODUZIONE RISERVATA