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Ambiente e sviluppo. Francia, scorie nucleari e uve pregiate

Diego Motta sabato 13 giugno 2015
«La produzione di Champagne e la presenza di un deposito di scorie nucleari in Francia sono assolutamente compatibles». Nel piccolo borgo di Soulaine, tre ore di viaggio a sud est di Parigi, tutti i produttori del vino più famoso al mondo la pensano esattamente come Patrice Torres, il giovane direttore del centro di stoccaggio de L’Aube, attivo da più di vent’anni per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Lo sviluppo dell’agricoltura, in una comunità relativamente piccola, era e resta l’orgoglio di quest’angolo d’Oltralpe, eppure tra i boschi della zona si nasconde quello che per gli acerrimi nemici dell’atomo altro non è che un “cimitero nucleare”: in realtà, il sito gestito dalla società francese Andra sorge nel verde ed è un insieme di blocchi anonimi, intorno a cui lavorano 250 operai. L’obiettivo è la messa in sicurezza di circa 1 milione di metri cubi di rifiuti, il 59% dei quali prodotti dalle centrali atomiche del Paese. La Sogin, azienda italiana controllata al 100% dal Tesoro, è venuta sin qui per capire se il modello francese è replicabile nel nostro Paese, atteso nei prossimi mesi da un importante dibattito pubblico in materia.Le candidature dei territoriEntro l’estate verrà infatti presentata la Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare, anche nel nostro Paese, un progetto analogo. A chi gli fa presente che non sarà facile trovare nella penisola territori in grado di candidarsi, Fabio Chiaravalli, direttore Sogin, risponde sciorinando idee e ottimismo. «Incrociando dati e analisi condivisi con l’Ispra, possiamo dire con certezza che ci sono decine di località adatte a ospitare un deposito in superficie e l’annesso parco tecnologico. Tra di esse, possiamo certamente escludere, perché non rispondono ad almeno uno dei criteri richiesti, le centrali nucleari in via di smantellamento», precisa smentendo chi aveva identificato nelle vecchie fabbriche in decommissioning le zone strategiche per questa operazione. «Senza dubbio – continua Chiaravalli – servirà poi un salto culturale da parte delle comunità e la Francia, in questo senso, può darci un esempio. Anche se la nostra sfida, dal punto di vista della sicurezza per la popolazione, sarà ancora più esigente». L’auspicio è che ci siano «almeno due candidature da parte di Comuni italiani» e forse non dispiacerà, come avviene qui, la possibilità di valorizzare luoghi dell’Italia profonda in cerca di rilancio e di riscatto. In gioco ci saranno 1.500 posti di lavoro all’anno (700 dei quali fissi) a partire dal 2019 e fino al 2024, anno in cui il deposito dovrebbe essere completato. «C’è in gioco l’interesse nazionale, per i prossimi 300 anni» dice alludendo alla durata prevista del piano di stoccaggio. Il valore aggiunto rappresentato dal parco tecnologico verrà discusso una volta assegnato il deposito alla località prescelta, durante il seminario nazionale atteso tra ottobre e dicembre, mentre il no all’ipotesi di raccogliere le scorie radioattive in profondità cancella in partenza i fantasmi di un’altra Scanzano Jonico.Convenienze reciprocheC’è il rischio di una scelta “calata” dall’alto da parte del governo centrale, alla fine del percorso di confronto pubblico coi territori? Anche in questo caso la Francia e la vicenda di Soulaine rappresentano un precedente importante. Lo rivela il sindaco e rappresentante del comitato dei Comuni locali, Philippe Dallemagne. «Io all’inizio ero contrario al deposito de L’Aube e ricordo che per i primi due anni, dal 1992 al 1994, ci siamo opposti alle decisioni dello Stato. Non ci sembrava accettabile: poi è cambiato il metodo di confronto con la popolazione, abbiamo capito che Andra, l’azienda che gestisce il sito, aveva tutto l’interesse ad ascoltarci. E adesso abbiamo aperto un tavolo di discussione per la creazione di un terzo centro nella zona». Ogni anno dallo Stato arrivano 13 milioni di euro a tutto il territorio, dei quali 1,1 si fermano nelle casse del borgo, che ha soli 350 abitanti. Buoni motivi per tenersi il sito di stoccaggio. «Anche perché oggi nessuno accetterebbe di fare come abbiamo fatto noi, in Francia, ripartendo da zero – continua Dallemagne – . Dal punto di vista sociale, l’accettazione dell’atomo è più bassa rispetto a qualche anno fa, ma non è questo il problema. Il punto è cosa ci viene dato in cambio. Noi ad esempio vorremmo meno soldi e più possibilità d’impiego per i nostri giovani». Lo champagne scorrerà ancora per generazioni, ma gli effetti della crisi anche qui, come in Italia, sono imprevedibili.