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Ucraina. Filo-Putin o deportati? Il caso del milione di ucraini “rifugiati” in Russia

Giacomo Gambassi martedì 5 settembre 2023

Una manifestazione a favore dell'Ucraina a Bruxelles

Filorussi o deportati? Chi sono gli ucraini che dall’inizio dell’invasione voluta da Putin sono finiti a Mosca e dintorni? I numeri si limitano a fotografare un fenomeno che può sembrare paradossale, ma non dicono nulla di più sulla migrazione “forzata” dal Paese aggredito al Paese aggressore che in questi diciannove mesi di combattimenti è avvenuta. Secondo le stime dell’Unhcr, dal febbraio 2022 al giugno 2023, sono stati ufficialmente registrati nella Federazione Russa 1.275.315 rifugiati ucraini e in Bielorussia 27.675. Le cifre sono state diffuse dalla studiosa Oksana Mikheyeva davanti ai vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina riuniti a Roma per il loro Sinodo annuale, il secondo in tempo di guerra, che si tiene dal 3 al 13 settembre.


Perché la guerra spinge verso la Russia? Difficile credere all’ipotesi che centinaia di migliaia di ucraini siano disposti ad andare a vivere in mezzo chi li bombarda di propria spontanea volontà. «Poiché l'Ucraina non controlla il confine con la Federazione Russa nelle zone di combattimento, così come il confine con le aree occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk fin dal 2014, è impossibile verificare questi dati – dice l’esperta –. E soprattutto è impossibile separare in queste rilevazioni i cittadini ucraini che hanno volontariamente attraversato il confine con la Federazione Russa da quelli che sono stati deportati, sono prigionieri o sono stati costretti a uscire attraverso pseudo “corridoi umanitari” aperti solo in una direzione, ossia verso la Russia». In pratica, stando alla ricostruzione di Mikheyeva, non c’è alcuna libera scelta dietro la maggior parte degli spostamenti verso la Russia. Dalle zone sotto il controllo del Cremlino si è “obbligati” a dirigersi oltre la frontiera che divide l’Ucraina dal nemico: vuoi in cattività; vuoi per fuggire dagli attacchi o alle persecuzioni dell'esercito; vuoi per l'impossibilità di accedere all'Ucraina libera. Ecco perché le cifre vanno lette come un’ulteriore prova degli spostamenti di massa imposti dagli occupanti che le autorità di Kiev ma anche la gente comune denunciano a gran voce.


Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sono 6,3 milioni i profughi ucraini sparsi per il mondo a causa della guerra: al 15 agosto 2023 5,9 milioni sono stati accolti nell’Europa centrale e occidentale e altri 367.000 hanno trovato ospitalità fuori del vecchio continente. Ad essi si aggiungono gli oltre cinque milioni di sfollati interni. «Ma solo il 14% degli emigrati ucraini ha una chiara prospettiva di tornare in Ucraina, mentre il 6% ha già deciso di non rimettere piede in patria», afferma Oksana Mikheyeva. E aggiunge: «Tutti gli altri, invece, non riescono a immaginare ancora il proprio futuro. Un futuro che può essere di permanenza in Europa o di ritorno in Ucraina». Tuttavia già 353mila sfollati sono rientrati dall’estero nel Paese invaso, sfidando i missili che continuano a cadere. «Ma non abitano più nelle proprie case», sottolinea la studiosa.

A Roma la celebrazione di apertura del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina - ugcc.ua

Tutti numeri che segnano i primi giorni del Sinodo della maggiore comunità ecclesiale in comunione con Roma che si svolge in Italia. 45 i vescovi presenti, provenienti dall’Ucraina e dai Paesi della diaspora: Europa centrale e occidentale, Nord e Sud America, Australia. Le bombe dettano l’agenda dei lavori, come testimonia il tema principale dell’assemblea: “L'assistenza pastorale delle vittime della guerra”. Il capo della Chiesa greco-cattolica, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, definisce l’appuntamento il «Sinodo della speranza». Domani 6 settembre è prevista l’udienza con papa Francesco. «Sappiamo che è un grande maestro dell'ascolto e dei gesti eloquenti, che a volte possono essere più eloquenti delle parole scritte o lette – osserva Shevchuk nell’omelia della celebrazione di apertura –. Il Papa vuole ascoltare il Sinodo dei vescovi ucraini, per questo ci invita appositamente all'incontro un'ora prima per avere l'opportunità di rivolgersi non solo al capo della Chiesa (con lui spesso ci incontriamo e comunichiamo), ma anche a ciascuno dei nostri vescovi a nome del suo gregge, della sua diocesi o del suo esarcato».

Il prossimo cardinale Claudio Gugerotti e l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk alla celebrazione di apertura del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina a Roma - ugcc.ua

A portare il saluto nella celebrazione iniziale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali e futuro cardinale, che ricorda come l’affetto e l’interesse del Papa per l’Ucraina rimangano costanti e inalterati nel tempo. Ex nunzio in Ucraina, descrive la guerra voluta da Putin come «atea» e «un assassinio di Dio» poiché «là dove si uccide la vita di un innocente, si uccide anche la presenza di Dio». Il prefetto del Dicastero vaticano assicura che la Chiesa di Roma e il Papa sono grati alla Chiesa greco-cattolica ucraina per l’aiuto e il sacrificio che ha dimostrato per il popolo ucraino: «Voi siete lavoratori instancabili delle opere di misericordia. Il vostro compito è asciugare le lacrime e confortare chi soffre».

I vescovi ucraini che partecipano al Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina in corso a Roma - ugcc.ua

Nella giornata odierna sono le ricerche e le esperienze sul campo al centro del confronto. Oksana Mikheyeva ricorda che le categorie più vulnerabili tra i migranti ucraini sono gli anziani, i bambini dai 5 ai 17 anni, ma anche le persone con malattie croniche. Le prime cinque regioni da cui provengono gli sfollati sono quelle di Kiev, Zaporizhzhia, Kharkiv, Donetsk e Dnipropetrovsk: queste ultime quattro sono quelle lungo la linea dei combattimenti.

È il vescovo Bohdan Dzyurach, esarca apostolico per gli ucraini di rito bizantino in Germania e Scandinavia, a presentare il dramma dei rifugiati in Europa. Il presule racconta di famiglie “divise” dalla guerra, del dolore per la separazione dai propri cari, della perdita di tutto ciò che si aveva, dei lutti che hanno colpito genitori e figli, ma anche dei «sensi di colpa per essere al sicuro e fuori Ucraina» o della «difficoltà di integrazione nelle società occidentali». «Già nell’estate del 2022, ho ipotizzato che almeno il 30%, se non il 50%, rimarrà nei Paesi dell’Europa occidentale per un periodo più lungo, dove il concetto di “più lungo” è determinato principalmente dalla durata della fase calda della guerra. A giocare un ruolo fondamentale sono la perdita della propria casa in Ucraina e la grande percentuale di rifugiati minorenni che vengono immediatamente integrati nel sistema scolastico dell’uno o dell’altro Paese».

I lavori del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina in corso a Roma - ugcc.ua

Di fronte ai traumi del conflitto, «è necessaria un’ampia cooperazione tra la Chiesa e altre organizzazioni», spiega il vescovo polacco di Olsztyn-Danzica, Arkady Trokhanovskyi. E, citando il brano evangelico di Marta e Maria, suggerisce: «Sull’esempio di Marta, volontaria moderna, la Chiesa potrà aprire centri di guarigione delle ferite dove, in collaborazione con specialisti, condurrà vari tipi di formazione, corsi terapeutici, esercizi spirituali. E, seguendo Maria, siamo chiamati a curare con la Parola di Dio che sana le ferite, porta la pace, infonde il perdono, purifica dal peccato e insegna l’amore e la misericordia».