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Analisi. Al-Baghdadi, il califfo senza più un Califfato

Camille Eid giovedì 23 agosto 2018

Il messaggio con cui è tornato a farsi vivo il capo del Daesh Abu Bakr al-Baghdadi – l’audio di 45 minuti lanciato l’altra sera su Telegram nel quale il leader jihadista invita i seguaci a persistere nella lotta – rompe un silenzio durato circa 11 mesi – l’ultimo audio risale al 28 settembre – in cui sono intervenuti molti cambiamenti sul terreno. Fino a pochi mesi fa, e nonostante le pesanti perdite territoriali subite – comprese le due “capitali”, Mosul e Raqqa –, il Daesh poteva ancora contare su una base territoriale importante a ridosso della frontiera tra Siria e Iraq, oltre a cinque enclave di piccola o media dimensione.

Oggi, la situazione è cambiata drasticamente per l’autoproclamato califfo. I suoi uomini risultano trincerati solo in due zone desertiche (una nell’estremo Est siriano, l’altra nella provincia irachena di Ninive) e in una striscia fertile di 30 km sull’Eufrate siriano, che si estende da Hajin fino alle periferia di Bukamal. Il resto è tutto evaporato: dalla piccola enclave che il gruppo deteneva fino al maggio scorso nel campo palestinese di Yarmuk, alle porte di Damasco, alla strategica porzione di territorio confinante con il Golan.

Lo scorso 24 luglio i curdi siriani hanno finalmente strappato al Daesh l’ultima zona controllata dai jihadisti sulla frontiera con l’Iraq. Da qui l’invito di Baghdadi a serrare le file, sebbene un po’ maldestro dal momento che il Califfo lo fa alimentando la polemica con i suoi rivali di al-Qaeda. Malgrado la difficile fase, il gruppo è capace di provocare danni. Lo dimostrano gli attacchi a sorpresa condotti dai jihadisti negli ultimi mesi, in Siria come in Iraq. L’ultimo è l’azione di pura guerriglia mescolata a terrorismo sferrata il 25 luglio nella zona drusa di Suweida e conclusasi con l’uccisione di circa 250 persone e il rapimento di diverse decine.

Proprio ieri si è parlato dell’eventuale liberazione degli ostaggi, che sono in maggioranza donne e bambini, in cambio del trasferimento dei jihadisti in una zona sotto il controllo del Daesh.Anche per questo la vittoria contro «il gruppo terroristico internazionale con la maggiore capacità militare», declamata dal presidente russo Vladimir Putin lo scorso dicembre, sembra quantomeno affrettata. Anzitutto, non si capisce come possano nascondersi in zone totalmente desertiche tra 20 e 30mila affiliati ancora vivi, secondo le stime dei rapporti internazionali.

Da qui il sospetto che buona parte dei membri del gruppo, quelli locali in particolare, si siano “riconvertiti” tra la popolazione civile, mentre quelli stranieri stanno probabilmente cercando di raggiungere altri Paesi, in particolare in Asia. Non si esclude che alcuni siano persino approdati in Europa. La domanda è: quanti sono ora disposti ad accogliere l’invito del Califfo a continuare il jihad compiendo attentati con qualsiasi mezzo?