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Asia. In Pakistan l'emergenza per gli sfollati delle alluvioni ora si chiama malaria

Stefano Vecchia, Karachi giovedì 19 gennaio 2023

Ragazzine sfollate con le famiglie in un centro di accoglienza improvvisato a Karachi, in Pakistan

Impossibile non notarli, sparsi in piccole tendopoli o in rifugi di fortuna lungo le maggiori vie di comunicazione. Soprattutto nelle regioni centrali e meridionali del Paese, si trovano spesso ai margini delle città oppure accampati nelle vicinanze dei loro villaggi in parte ancora sommersi dall’acqua e dal fango. Ovunque, insomma, una posizione sopraelevata o la protezione di un argine ancora intatto garantiscano una certa sicurezza da piene improvvise ma non purtroppo dalla minaccia della malaria e della dengue.

Sono ancora centinaia di migliaia gli sfollati delle disastrose alluvioni causate dalle piogge monsoniche che tra giugno e ottobre hanno colpito il bacino dell’Indo, interessando un terzo del territorio del Pakistan e almeno 30 milioni di abitanti. Di questi, cinque milioni (tre milioni i minori) costretti a cercare scampo dalla furia delle acque perdendo casa, animali e fonti di sostentamento.

In molti casi, almeno duemila, anche la vita. A distanza di alcuni mesi, la loro situazione resta difficile, con l’assistenza governativa già inadeguata nelle prime fasi della crisi che si è praticamente prosciugata per mancanza di fondi propri.

Gli aiuti stranieri, invece, sono stati sostanzialmente negati anche nell’emergenza per l’indebitamento eccessivo. A fronte di un Pil stimato per lo scorso anno in 376,5 miliardi di dollari, nel 2021 il Pakistan aveva un passivo estero di 130 miliardi, con un’ulteriore impennata nel 2022 complice anche la svalutazione della rupia.

Nonostante l’appello lanciato ai governi dal premier Shehbaz Sharif alla Cop27 di Sharm El-Sheikh a novembre, come in altri casi di catastrofi naturali o nelle troppe emergenze che segnano la “normalità” del Pakistan e dei suoi 230 milioni di abitanti, anche stavolta buona parte dell’impegno a cercare di alleviare le necessità più immediate è ricaduto sulle spalle delle organizzazioni umanitarie, locali e internazionali.

Cibo e assistenza sanitaria sono le prime emergenze e su questo si sono impegnate anche le strutture caritative della Chiesa pachistana e le parrocchie che pure hanno subito danni consistenti, in particolare nella provincia meridionale del Sindh. Denunciati anche nella prima fase dei soccorsi, episodi di discriminazione nella distribuzione degli aiuti.

Come ha denunciato monsignor Samson Shukardin, vescovo di Hyderabad, ad AsiaNews, i cristiani sono stati spesso esclusi dai soccorsi. Di «emergenza ancora in corso», parla Edward Taylor, coordinatore d’emergenza di Medici senza frontiere nelle province del Sindh e del Beluchistan: «Sono trascorsi mesi dalle alluvioni e le nostre équipe in Sindh e Beluchistan orientale vedono ancora persone che vivono in tende e in rifugi di fortuna. Con l’arrivo dell’inverno sono ancora più vulnerabili.La risposta all’emergenza si sta concentrando sulla ricostruzione ma manca una risposta umanitaria per rispondere ai bisogni primari della popolazione».

L’inverno, ricorda l’organizzazione in un rapporto, rende ancora più difficile una vita già all’insegna della precarietà. I team dell’organizzazione hanno garantito cure mediche di base a più di 92mila persone principalmente per malattie cutanee, malaria, infezioni respiratorie e diarrea. Essenziale la risposta alle necessità mediche e sanitarie, anche per il diffondersi di malattie dovute alla presenza di acqua stagnante.

«La metà dei pazienti visitati dalle cliniche mobili di Msf a dicembre era affetta da malaria nonostante ci si aspettasse una diminuzione dei casi con la stagione fredda e dallo scorso ottobre i team hanno trattato più di 42mila casi», segnala ancora l’organizzazione.

Allarmante l’insufficienza alimentare tra i bambini, dopo che le alluvioni hanno distrutto gran parte dei raccolti e degli allevamenti. Dall’inizio delle attività nel Sindh e nel Beluchistan, le cliniche mobili di Msf hanno visitato 28.313 bambini di cui più della metà non disponevano di cibo adeguato. Secondo i dati raccolti, il 23 per cento è risultato affetto da malnutrizione acuta e il 31 per cento da malnutrizione acuta moderata.