Mondo

SOLIDARIETA'. Donne in campo per Asia

mercoledì 17 novembre 2010
Le donne del Pakistan, cristiane e musulmane, scendono in strada per mostrare sostegno e solidarietà ad Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia. Lunedì, stando a quanto riferito dall’Agenzia Fides, a Nankana (la città di Asia Bibi) le donne hanno manifestato davanti ai palazzi delle istituzioni governative per mobilitare l’opinione pubblica e chiedere il rilascio della donna. Fra le associazioni organizzatrici del corteo vi era la «Pakistan Catholic Women Organization», che ha operato in accordo con numerose associazioni musulmane che difendono i diritti delle donne. Le donne pachistane si appellano e sperano nell’autorevole figura di Asma Jahangir, noto avvocato musulmano, divenuta di recente la prima donna a guidare l’Associazione degli avvocati della Corte suprema del Pakistan.Intanto la Commissione nazionale sulla condizione delle donne (Ncsw) del Pakistan ha sostenuto di essere rimasta «choccata» dalla condanna a morte di Asia Bibi, che «deve essere immediatamente liberata». In un comunicato la Ncsw, costituita nel 2000 per assistere il governo pachistano nell’eliminazione della legislatura discriminante per il genere femminile, ha ricordato che «questa donna è l’ennesima vittima delle perniciose Leggi sulla Blasfemia introdotte oltre 20 anni fa da una dittatura militare».Questa legislazione, insiste l’Ncsw, si è trasformata in un pericoloso strumento nelle mani degli estremisti religiosi e «almeno dieci persone sono state uccise, in alcuni casi perfino con la palese approvazione da parte dello Stato». La Commissione, prosegue il comunicato, «condanna categoricamente» la decisione del tribunale di infliggere la pena di morte ad Asia sulla base degli articoli 295-B e C del Codice penale pachistano.È incredibile, sostiene l’autorevole organismo, che «ad una donna cristiana sia stato chiesto di aderire ai principi dell’islam». La vicenda, sostiene l’Ncsw, «è stata da noi esaminata a fondo» ed ha portato alla conclusione che si tratta di «una falsa accusa» legata ad una vendetta personale.