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Ucraina. La gente del Donbass è rassegnata: «Adesso tocca a noi»

Francesca Ghirardelli mercoledì 6 aprile 2022

Bimbo su un treno nella stazione di Kramatorsk nel Donbass

Hanno letto e visto cosa è accaduto a Bucha. Hanno ascoltato quello che gli sfollati giunti lì da Mariupol hanno raccontato. E ricordano bene l’inizio del conflitto del 2014, la morte appena fuori casa. I civili del Donbass sanno che ora tocca a loro. «Nei prossimi giorni dovrò essere evacuata, andare via per un po’. Il governatore della regione di Donetsk (la parte controllata da Kiev) insiste perché lasciamo le nostre città», scriveva lunedì in un messaggio una trentenne di Slovyansk, città nel Donbass ucraino. Le avevamo chiesto se si trovasse al sicuro. La notte scorsa, la zona ha subìto un nuovo bombardamento. Così per alcune ore ieri sono stati sospesi i treni per le evacuazioni dalla stazione della vicina Kramatorsk.
Via dalla capitale, ora le truppe di Mosca guardano a Est, puntano al Donbass, la regione fin dall’inizio nella mente, nelle intenzioni e nei discorsi del presidente Putin, ambìto bottino dell’“operazione militare speciale in risposta alla richiesta di aiuto dei capi delle repubbliche” autoproclamatesi indipendenti. Ora tocca al Donbass, di nuovo. Sono passati otto anni esatti da quel 6 aprile 2014 in cui manifestanti filo-russi assaltarono i palazzi del governo a Donetsk, Lugansk e Kharkiv, occupando poi anche Slovyansk e Kramatorsk. Queste ultime sarebbero state riconquistate da Kiev a luglio, mentre il tentativo di occupare Kharkiv era fallito subito. Ora le forze russe arrivano per finire ciò che era rimasto incompiuto. Lunedì l’agenzia ucraina Unian pubblicato un video in cui si vede una colonna di tank di Mosca muoversi da Kupyansk a Izyum, sud-est di Kharkiv. A un passo da lì, sorgono appunto Slovyansk e Kramatorsk. Alla stazione di quest’ultima città, centinaia di persone si accalcano sui convogli per l’Ovest. In 24 ore dal Donbass le ferrovie hanno evacuato 3.100 persone.
Si ha un’idea dell’andamento di queste sei settimane di guerra nella regione dalle parole di Leonid Nikolaevich della Ong Proliska, da anni al lavoro (anche come partner di Acnur) in una decina di sedi sul versante ucraino della linea di separazione creata dal conflitto nel 2014, quella che ha tagliato in due il Donbass. La Ong ha dovuto prima evacuare il proprio staff da Stanytsia Luhanska, poi dalla cittadina di Shchastia e da altri centri. Pur fra i rischi, Proliska resta sul terreno con una cinquantina di operatori. «Le zone ora più critiche sono quelle di Avdiivka, Torezk, Popasna, Maryinka, in quest’ultima diverse volte abbiamo perso i contatti con il nostro staff». Sono città in cui avevano cercato riparo migliaia di sfollati fuoriusciti da Mariupol, Volnovacha e altri centri, «persone rimaste nel Donbass spesso perché senza risorse economiche, nel posto più sicuro vicino a casa».
Sul terreno Proliska fa quello che può. Consegna cibo, acqua, generatori, assiste i civili che vogliono partire, finora duemila. «La mancanza di farmaci è catastrofica, sono introvabili», dice Leonid Nikolaevich. Gli chiediamo se lo sforzo per fornire aiuti, che abbiamo visto così imponente ed efficiente nell’Ucraina occidentale, si stia verificando anche qui. «La maggior parte delle grandi organizzazioni sono state le prime a spostarsi nell’Ovest. Molti volontari indipendenti e gente di diverse chiese continuano, invece, a lavorare nella regione. I nostri cinquanta operatori sono rimasti sul terreno non perché siano eroi ma perché molti di loro appartengono alle comunità locali, vivono lì e hanno scelto di assistere la popolazione».
Poi riferisce di una battuta sentita da alcuni colleghi di queste zone: «Nel 2014 abbiamo ricevuto la nostra dose di vaccino, siamo vaccinati contro la guerra, possiamo fronteggiare qualunque cosa. Così hanno detto, ma è chiaro che c’è di più. Continuare ad assistere i propri concittadini in quelle condizioni significa essere gente incredibilmente coraggiosa».