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Gran Bretagna. I disabili cognitivi «da non rianimare» in caso di Covid

Angela Napoletano martedì 16 febbraio 2021

Ragazzi affetti da autismo studiano insieme in classe

Secondo l’agenzia governativa per la Qualità del sistema sanitario (Care Quality Commission) nel Regno Unito ci sono state morti per Covid-19 che si sarebbero potute «potenzialmente evitare» se ci fosse stato un uso appropriato delle disposizioni sulla rianimazione. L’ordine «do not resuscitate» (da non rianimare) sarebbe stato applicato in maniera impropria oltre che agli anziani residenti nelle case di cura anche ai disabili cognitivi come persone affette da autismo o sindrome di Down. La denuncia arriva da Mencap, associazione britannica tra le più attive sul fronte della disabilità, che adesso preme sul governo per inserire i disabili cognitivi nelle categorie da vaccinare con estrema priorità.

La «scala di fragilità»

​La storia, purtroppo, non è nuova. Lo scorso 3 aprile, a neppure un mese di distanza dal lockdown disposto durante la prima ondata di coronavirus, fu necessaria una comunicazione della direzione per la salute mentale dell’Nhs (National health system) a ribadire che le disabilità cognitive, seppure gravi, «non sono condizioni fatali» e che pertanto la valutazione dell’opportunità di rianimare chi ne è affetto non deve essere effettuata sulla base della cosiddetta «clinical fraility scale», la scala di fragilità che combina età e grado di malattie pregresse, ma su un’analisi individuale del caso. La precisazione arrivò dopo che alcune famiglie, in particolare del Cambridgeshire, erano state allertate dagli stessi medici di base sul fatto che i loro congiunti disabili, se gravemente infettati dal Covid, sarebbero stati «difficilmente» sottoposti alla ventilazione meccanica prevista nelle fasi più acute della malattia perché considerati «troppo fragili» per poterla affrontare. Nonostante i chiarimenti della direzione sanitaria, e un esplicito appello a seguire le linee guida lanciato dal ministro della Salute Matt Hancock in uno dei consueti aggiornamenti giornalieri sui ricoveri, sembra che l’ordine di non eseguire la rianimazione cardiopolmonare (Dnacpr) per i disabili cognitivi sia stato adottato ancora a lungo, soprattutto nelle strutture residenziali dedicate a questa tipologia di pazienti.

Rischiano di morire di Covid 30 volte in più rispetto ai normodotati

Gli ultimi casi segnalati a Mencap risalgono allo scorso gennaio. Edel Harris, presidente della onlus, parla di una «scioccante discriminazione», di un «inaccettabile» ostacolo alle cure per una fascia della popolazione di per sé già molto debole. Secondo un rapporto dell’agenzia del ministero della Salute britannico, i disabili cognitivi gravi tra i 18 e i 34 anni rischiano di morire di coronavirus 30 volte in più rispetto ai coetanei normodotati. Altri dati pubblici rivelano che nelle ultime cinque settimane il 65% dei decessi registrati nella popolazione di disabili cognitivi è avvenuto per Covid.

Una corsia preferenziale nella campagna di immunizzazione

​Da qui è nata l’urgenza di fare in modo che per loro venga almeno adottata una corsia preferenziale nella massiccia campagna vaccinale in corso (la prima dose immunizzante è stata somministrata a 15,3 milioni di persone). Al momento la priorità è prevista a livello nazionale solo per gli adulti affetti da sindrome di Down ma alcuni Comuni, soprattutto nell’Oxfordshire, stanno ritoccando le categorie di priorità a favore di tutti i cittadini affetti da deficit cognitivo, a prescindere dal grado di gravità. Il governo britannico del premier Johnson ha ribadito che quella denunciata dall’associazione Mencap non è mai stata una pratica raccomandata e che, anzi, «è stato fatto tutto il possibile per prevenirla». La Commissione per la Qualità del sistema sanitario è stata incaricata di effettuare una ulteriore indagine al riguardo, i cui risultati saranno noti alla fine dell’anno. Anticipazioni sono tuttavia previste già nelle prossime settimane.