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La repressione. In Iran condannato a morte anche un disabile (senza prove)

Redazione Esteri venerdì 20 gennaio 2023

Una protesta contro il regime iraniano, a Istanbul

Il regime iraniano ha arrestato, torturato nel modo più brutale e infine condannato a morte un uomo affetto da una grave malattia mentale, Javad Rouhi, 35 anni. Vive in un piccolo villaggio nel nord dell’Iran e secondo la polizia il 21 settembre avrebbe partecipato a una manifestazione di protesta a Nowshahr, nella provincia di Mazandaran: una delle prime innescate dalla morte di Mahsa Amini. Sarebbe entrato nel quartier generale della polizia stradale della città, avrebbe appiccato un incendio e bruciato un Corano.

Il 3 gennaio gli è stata comminata la pena capitale con tre accuse generiche: guerra contro Dio, corruzione sulla Terra e apostasia; più l’accusa specifica di «incitamento a combattere e uccidersi a vicenda» in relazione ai fatti di Nowshahr. Non ha avuto il diritto di scegliersi un avvocato. Il capo della giustizia della provincia ha dichiarato che Rouhi avrebbe «confessato di aver distrutto il quartier generale e di avergli dato fuoco». I gruppi per i diritti umani affermano che l’uomo è stato costretto a fare quelle ammissioni dopo torture così pesanti in un centro di detenzione gestito dai Pasdaran, che ora non riesce più a parlare né a camminare, ed è diventato incontinente.

Le Ong sottolineano che non esistono altre prove del suo coinvolgimento. E anche l’avvocato scelto dallo Stato per difenderlo, Habibullah Qazvini, ha detto che il suo cliente non sapeva che un Corano fosse stato bruciato, e che in ogni caso «i filmati delle telecamere a circuito chiuso e le dichiarazioni di Javad Rouhi mostrano soltanto la sua presenza nel luogo del raduno e non ci sono prove che abbia partecipato all’incendio e alla distruzione di proprietà pubbliche».

La corte ha precisato che il verdetto di colpevolezza sulle accuse di istigazione è in relazione alla morte di cinque persone, tutti manifestanti apparentemente uccisi da agenti di sicurezza. Insieme a Javad, sono stati condannati a morte due ragazzi: Mahdi Mohammadifad, 19 anni, e Arshia Takdastan, 18 anni. Sinora la magistratura iraniana aveva confermato 18 condanne a morte e messo a morte quattro dimostranti.

Il Parlamento europeo ha chiesto che vengano inasprite le sanzioni contro il regime iraniano, che i Guardiani della rivoluzione siano inseriti nella lista Ue delle organizzazioni terroristiche, e che vengano sottoposti a misure la Guida suprema Ali Khamenei, il presidente Ebrahim Raisi e il Procuratore Generale Mohammad Jafar Montazeri. «Il palese disprezzo del regime iraniano per la dignità umana e le aspirazioni democratiche dei suoi cittadini, nonché il suo sostegno alla Russia – cui l’Iran fornisce i droni che stanno seminando morte e distruzione in Ucraina –, richiedono ulteriori adeguamenti della posizione dell’Ue», si legge nella risoluzione. Teheran ha definito la mossa «inappropriata e scorretta». Una reazione è arrivata anche dall’esercito. «Le forze armate, in particolare il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche – recita un comunicato –, non faranno mai un passo indietro e continueranno a confrontarsi con i terroristi dell’America, dell’Inghilterra e del regime sionista».